sabato 29 novembre 2014

Tenerezza di cuore






Tenerezza di cuore

Era già buio da un pezzo, in quella sera di novembre, ma il lavoro di Miriel non era ancora finito.

Si pensa che la vita delle streghe sia un po’ più facile di quella degli altri esseri umani, ma di sicuro non era quello che pensava Miriel, stipata nella metropolitana, mentre guardava ansiosamente l’orologio.
Doveva arrivare al negozio prima della chiusura, per ritirare certe erbe che erano state spedite apposta per lei dall’altro capo del mondo.
L’indomani c’era il convegno annuale delle streghe e avrebbe dovuto lavorare tutta la notte per preparare il suo intervento.
Era importante, perché si trattava di una specie di esame per essere ammessa ufficialmente nella congrega. E poi c’era l’albero di Yule ancora da preparare e gli incantesimi per la luna nuova e quelli per le molte persone in cui si imbatteva e che decideva di aiutare…

Per questo, quando riemerse all’aperto salendo i gradini a due a due e la vide, il primo impulso fu quello di voltarsi dall’altra parte.

Ma non lo fece, naturalmente.
Per essere una strega, Miriel aveva un cuore straordinariamente tenero e questo finiva sempre per cacciarla nei guai.

La bambina si guardava intorno nella piazza affollata.
Indossava stivaletti un po’ troppo grandi e un cappottino da cui sbucava un pezzo di gambotte senza calze. Il visino era tutto raggrinzito in quell’espressione che nei bambini precede immancabilmente il pianto.
Miriel si guardò velocemente intorno. La folla vorticava, indifferente.

Si avvicinò alla bimba.
«Ti sei persa?»
La piccola fece cenno di sì con la testa, tirando su col naso.
“Ok,” pensò Miriel. “Di certo verranno a cercarla.”
Dopo essersi guardata intorno, fece apparire rapidamente un batuffolo di zucchero filato e si rivolse di nuovo alla bambina: «Ti va se aspettiamo insieme che tornino a prenderti?»
Un altro cenno di assenso e già le manine si protendevano verso quel dolce inaspettato.

Sedettero sul basamento di una statua, la bimba indaffarata con lo zucchero filato e la strega intenta a scrutare la folla. Si aspettava di vedere arrivare da un momento all’altro una mamma in preda all’ansia o un papà che si guardava intorno accigliato.
Non successe niente di simile.
Tra un boccone di zucchero e l’altro, la bambina la informò di chiamarsi Ester e di aver perso la zia proprio appena salite le scale della metropolitana.
Ma chi poteva essere così incosciente da perdersi una bambina così piccola?
Passarono forse un paio d’ore così, in attesa.
La piazza adesso era più tranquilla. I negozi erano ormai chiusi e i passanti si erano fatti più radi.
Con un incantesimo, Miriel aveva reso più caldo l’angolino in cui si erano sedute, ma adesso la piccola ciondolava, come se rischiasse di cadere addormentata da un momento all’altro.

Miriel chiuse gli occhi e allargò il più possibile i suoi sensi di strega, per cercare tra i pensieri delle persone l’ansia per una bimba smarrita.
Non trovò niente di simile.
Intanto Ester si era addormentata con la boccuccia aperta, appoggiata alle sue ginocchia.
Miriel sollevò gli occhi e chiamò silenziosamente un gufo suo amico. Zampetto ci mise un po’ ad arrivare, ma era un amico fedele, e arrivò.
Miriel lo pregò di rimanere di guardia, per vedere se fosse arrivato qualcuno in cerca di una bambina e di avvisarla immediatamente in caso di novità. Zampetto volò immediatamente sulla testa della statua e da lì prese a scrutare la piazza, impettito come un generale.

La strega era sicura di aver fatto tutto il possibile e si rialzò. Sollevò delicatamente la bimba addormentata e discese con cautela i gradini della metropolitana.
Una volta a casa, le tolse gli stivaletti e il cappotto e l’adagiò nel letto della camera degli ospiti.
Poi si mise al lavoro. Usò tutti gli strumenti di cui disponeva per cercare la famiglia di quella bimba sperduta, senza successo.
Persino la sfera di cristallo le mostrò solo una fitta nebbia, come quella che si era levata all’improvviso fuori dalle finestre.
Si addormentò al suo tavolo alle prime luci dell’alba, mentre il pensiero di poter chiedere in poche ore l’aiuto di streghe ben più esperte e abili di lei le aleggiava nella mente esausta.

La svegliò un raggio di sole che entrava insieme all’aria fredda dalla finestra del terrazzo spalancata.

Ester, senza cappotto, era intenta a conversare e a dividere un dolce con un uccellino dal petto rosso. Si era infilata un fiore nei capelli e sembrava perfettamente felice e a suo agio.
«Per tutte le salamandre…» si fece sfuggire Miriel osservandola.

Per prima cosa chiamo a rapporto Zampetto, ma il gufetto dagli occhi spalancati la informò che nessuno aveva cercato la bimba. In ogni caso suo cugino gli aveva dato il cambio e si trovava ancora di guardia in cima alla statua.

Non restava che chiedere aiuto alla congrega delle streghe.
In un lampo Miriel fu pronta a balzare sulla sua scopa per andare al convegno.
Per quanto si fosse esercitata, non era ancora molto abile nel volo e non aveva mai volato con una bambina in braccio.
Non stupisce quindi che fosse assai scarmigliata quando finalmente fece il suo ingresso, in spaventoso ritardo, al convegno annuale delle streghe.
Cercando di darsi un tono, avanzò fino al centro della sala, tenendo Ester per mano.
Si rivolse direttamente alla strega più autorevole di tutte, la Saggia Eve, che sedeva al centro delle streghe più anziane e irradiava autorevolezza.
Miriel si schiarì la gola.
«Mie care sorelle» esordì. Ma la vocetta esile si levò al suo fianco: «Ciao zia!»
La Saggia Eve si protese un po’ in avanti prima di rispondere: «Oh, ciao Ester. Hai dormito bene?»
Miriel continuava a passare lo sguardo da una all’altra, quando la Saggia Eve si rivolse a lei.
«Mi dispiace, mia cara, ma la natura della prova finale deve rimanere segreta. Specialmente per le nuove ammissioni alla congrega. A quanto pare la piccola Ester ha deciso in tuo favore. Devo dire che ti sei comportata molto bene, anche se forse si può migliorare un po’ la tua tecnica di volo…»
Emozioni diverse iniziarono a giocare all’autoscontro dentro il petto di Miriel.
C’erano sollievo, rabbia, apprensione e molto altro, che cozzavano le une contro le altre. Ma alla fine il sollievo ebbe la meglio e la giovane strega sorrise a Ester: «Mi hai giocata, streghetta.»

La bimba le rispose con il più soave dei sorrisi, prima di andarsi ad arrampicare in braccio alla Saggia Eve.
 Non rimaneva che festeggiare, e lo fecero. Vi posso assicurare che lo fecero.

Come sempre, l'argomento è stato scelto in base agli spunti più votati sulla pagina FB. 

Buona notte, buone fiabe.


sabato 22 novembre 2014



La fiaba di questo fine settimana è dedicata alle meravigliose amiche creative del gruppo "Piacere di conoscerti".

I doni di Gioia


C’era una gran silenzio, quella sera.
Guardando fuori dalla finestra, Gioia osservò le lanterne che brillavano nella neve, caduta copiosa per tutto il giorno.
Le sembrava di essere caduta in un biglietto d’auguri, tanto tutto era bello e magico. E silenzioso. Come se il tempo si fosse fermato. Si riscosse con un sospiro e tornò al suo lavoro.
Le piaceva dedicarsi ai lavori creativi. Sapeva fare di tutto; ricami raffinati, soffici lavori a maglia, dipinti, restauro di mobili… Quando era immersa nei suoi lavori, la mente taceva e si sentiva tranquilla e felice.
Il lavoro di quella sera erano soffici pantofole di lana che stava preparando per la sua cara amica, come regalo di Natale. Poco più in là, un vecchio sgabello aspettava con pazienza di essere rimesso a nuovo e ornato dal ricamo preparato con pazienza e quasi ultimato…
Nel cestino da lavoro attendevano fili colorati di ogni colore e lane e feltri e perline…
Gioia terminò le pantofole prima di rendersene conto. Soddisfatta, le ripose con cura nella scatola che ornò di nastri colorati.
Un regalo era pronto.
Era ancora presto, quindi si dedicò allo sgabello e al suo ricamo.
Anche quello fu pronto in un batter d’occhio.
E poi fu il turno delle ghirlande per ornare le porte, dei calendari ricamati, delle sciarpe delicate, dei fermaporta a forma di soffici coniglietti, con tanto di vaporosi fiocchi al collo.
Gioia smise di pensare e a un certo punto si guardò intorno stupita. Addossati alle pareti, tutti i lavori che aveva pianificato per il mese era completati e sembravano illuminati da uno strano bagliore.
E la sera non era ancora finita.
Ogni dono trovò posto in una bella scatola e infine Gioia, stanca e soddisfatta, decise di andare a dormire.
Non avrebbe potuto fare altro, in ogni caso.
Aveva finito tutti i materiali che aveva in casa.
Al mattino guardò perplessa la montagna di pacchetti che ingombrava il soggiorno. Come era riuscita a terminare tutto in una sola sera?
Visto che aveva tempo, decise di iniziare a consegnare i suoi doni.
La prima visita fu per l’amica delle pantofoline. La trovò rabbuiata per alcuni problemi familiari, ma accetto di buon grado il dono e la salutò con un bel sorriso.
E così Gioia continuò, nei giorni seguenti, a camminare nella neve per consegnare i suoi doni.
Dapprincipio non voleva crederci, ma chi era triste o preoccupato dopo averli ricevuti sembrava più felice e sollevato.
Con il passare dei giorni, diventò evidente che i doni di Gioia avevano la capacità di portare serenità e gioia ovunque arrivassero.
Inoltre, quando si metteva al lavoro, di sera, per preparare un nuovo dono, immancabilmente finiva in un lampo.
Alla fine ogni persona del paese ebbe il suo dono, persino il panettiere un po’ sgarbato e lo spazzacamino sempre immusonito.
Ovunque si guardasse, si trovavano solo persone felici e sorridenti.
Fu un Natale memorabile, quello.
E la mattina di Natale Gioia trovò davanti alla sua porta un mucchio di doni inaspettati, accompagnati di biglietti affettuosi da parte di tutti quelli che avevano ricevuto i doni di Gioia.
Li portò tutti accanto al camino e li lesse con cura, sorridendo.
Alla fine, si accorse di una piccola scatola senza biglietto. Non aveva proprio idea di chi l’avesse consegnata.
Conteneva un ciondolo con una pietra che brillava come una stella. Rigirandosi l’oggetto tra le mani, Gioia notò una piccola incisione sul retro della pietra. Diceva: “Al prossimo anno.”

Da allora, ogni anno ebbe il dono di portare gioia a tutti, onorando così il suo nome e lo spirito del Natale, e indossò sempre il suo ciondolo misterioso, ben nascosto sotto i maglioni invernali, senza arrivare mai a scoprire chi fosse il misterioso donatore…

  
Buonanotte. Buone fiabe a tutti.

sabato 15 novembre 2014

La tigre

Dopo la più lunga serie di ricadute influenzali della storia, finalmente una fiaba.


La tigre

Il villaggio di C. era appena un gruppuscolo di case sparse in mezzo ai boschi, ma persino lì era giunta notizia della pericolosa tigre che infestava la zona.
Si diceva che potesse assumere sembianze umane e che fosse abilissima a intessere lusinghe per confondere la mente.

Nella casa più isolata di tutte, oltre il crinale della collina, viveva una donna. Non più giovane e non ancora vecchia, si sosteneva preparando rimedi di erbe e raccogliendo quello che la terra le offriva o che lei stessa coltivava nel piccolo campo vicino alla casa.
Pur essendo gentile con tutti, non si legava in particolare a nessuno e quindi si stupì, in quella notte di pioggia, sentendo bussare all’uscio.

Sulla soglia c’era una ragazza avvolta in un abito che sembrava fatto di paglia, fradicia fino all’osso e con un’aria implorante.
- Vi prego, datemi riparo-  la pregò mentre i rivoli di pioggia le colavano dai capelli sul visetto smunto.
La donna la fece entrare senza pronunciare una sola parola. Le indicò la stuoia accanto al fuoco e poco dopo le porse una coperta e una ciotola piena di minestra fumante.
La ragazza ringraziò e divorò la minestra, dopo essersi tolta la strana copertura di paglia e essersi avvolta ben bene nella coperta.
Aveva mani graziose, notò la donna. Con piccole unghie appuntite.
Dopo aver mangiato, la ragazza si accoccolò accanto al fuoco e si addormentò di schianto, come una bestiola esausta.

La donna riattizzò il fuoco, si avvolse anche lei in una coperta e sedette lì vicino, con la schiena appoggiata alla parete.

Ascoltava il rumore della pioggia sul tetto e il respiro regolare della ragazza addormentata.
Passarono le ore.
Il fuoco si spense e la stanza rimase avvolta nell’oscurità, mentre fuori la pioggia continuava a scrosciare.

Nel bel mezzo nella notte, però, ecco risuonare un ringhio sommesso.

La donna rispose con un ringhio a sua volta.

E poi, inaspettatamente, la voce della ragazza.
- Che cosa mi hai fatto?

- Niente di più di quello che è stato fatto a me, figlia mia – rispose la donna senza muoversi.

- Ma io conosco questa voce!
- Per questo, figlia mia, non ti ho parlato prima.
- Che cosa mi hai fatto, madre mia?
- Ti ho dato le stesse erbe che  la strega che abitava qui diede a me, tanti anni fa. Ora sei umana, figliola. Nel bene e nel male, sei umana e lo resterai.
- Perché mi infliggi questa condanna?
- Perché con il tempo ho capito che non è una condanna, ma un dono. Smetterà la voglia di dilaniare e aggredire, col tempo. E gli esseri che incontrerai sul tuo cammino non saranno più prede, per te, ma amici, compagni di viaggio. Non più dovrai vagare da sola, guardandoti dagli uomini. Potrai camminare a testa alta in mezzo a tutti, senza timore per nessuno.

- Ma io ero una belva orgogliosa! Non dovevo temere nessuno, a parte gli uomini.
- Appunto - rispose la donna, levandosi a osservare la prima luce dell’alba.
- Appunto.