La luce nel bosco
Adesso, adesso Clara si sentiva sciocca.
Avevano fatto un bel picnic, tutti insieme. Con fratelli, genitori, zii e cugini. Avevano mangiato sulle coperte stese sull’erba e scherzato e giocato.
Non sapeva perché, in quell’ultimo gioco a nascondino, avevo voluto allontanarsi tanto. Orgoglio, forse. Era la più piccola, e i cugini e i fratelli la trovavano sempre.
Così, si era incamminata di soppiatto nel bosco e si era nascosta dietro un cespuglio, ma poi quel nascondiglio non le era più sembrato tanto sicuro e si era allontanata ancora un po’ e poi un altro po’. Infine aveva visto una farfalla bellissima e l’aveva seguita immaginando la faccia che avrebbero fatto, gli altri, quando sarebbe infine sbucata fuori urlando “Liberi tutti!” e li avrebbe portati a vedere quella bellissima farfalla.
Poi si era stesa sotto un abete, a osservare il cielo attraverso l’intrico dei rami e all’improvviso si era resa conto che da tanto tempo non sentiva più le voci dei grandi e nemmeno quelle dei bambini.
Il cielo era diventato rapidamente livido, prima di arrossare dove il sole stava scendendo.
E adesso era lì, smarrita e sola, a camminare in quel bosco scurissimo e pieno di suoni sconosciuti.
Dapprima, aveva urlato i nomi dei fratelli e dei cugini. Si era arrabbiata per quello scherzo crudele di farle credere di essersi persa.
Poi aveva capito che non era uno scherzo.
Era andata avanti a urlare ogni tanto, più forte che poteva: “SONO QUI!”
Ma le aveva risposto solo il frusciare del vento tra le foglie.
Ora, ormai, aveva perso la voce.
Aveva freddo, aveva sete. Non c’era nessuno.
Sentiva due lacrime pungerle gli occhi, ma cercava di scacciarle. Non voleva piangere.
Voleva trovare gli altri, abbracciare la mamma e tornare a casa.
Al pensiero della mamma non riuscì più a trattenersi e le lacrime iniziarono a scorrere, rendendole per un attimo la vista offuscata.
E in quella foschia intravide un bagliore.
Si asciugò rapida gli occhi col dorso della mano.
Ma sì!
In mezzo alle foglie, in lontananza, si vedeva una luce.
Clara si diresse da quella parte più in fretta che poteva. Se c’era una luce, allora c’era una casa. E se c’era una casa, allora c’erano persone che avrebbero potuto aiutarla a ritrovare la mamma.
Quando fu un po’ più vicina, si accorse che una casa c’era davvero. Una bella casetta con finestre illuminate. Poi udì una voce.
Una voce tranquilla stava raccontando una fiaba.
La bambina si guardò intorno, incuriosita. Nella radura in cui sorgeva la casa non c’era nessuno.
Solo qualche vecchia statua, mezzo coperta di foglie e muschi.
Ma man mano che si avvicinava, però, la voce si faceva più distinta. Era bellissima e raccontava dell’amore di un principe e di una sfortunata principessa in un modo così perfetto, che Clara si scoprì a rallentare il passo.
E poi, voltandosi, la vide. Una statua di marmo sembrava reggere tra le braccia un libro, mentre le labbra si muovevano nel leggere la storia.
Quasi senza volere, Clara trovò lì accanto un masso coperto di soffice muschio e sedette comodamente, incapace di fare altro che ascoltare la fiaba.
Un vago chiarore invase la radura, ma la bimba era così assorta nella fiaba che quasi non lo notò.
Solo quando lo strano cantastorie terminò finalmente il racconto con un “… e vissero per sempre felici e contenti” si riscosse e si guardò intorno.
Decine di piccole creature alate si erano posate tutto intorno, chi su una foglia, chi su un ramo, chi su altri sassi coperti di muschio. Erano loro ad avere illuminato la radura.
“Oooh, che bella fiaba!” sospirò una delle creature. Era coricata a pancia in giù su una foglia di quercia e aveva l’aspetto di una ragazzina dai capelli rossi, anche se non era più alta di un cucchiaio. Il piccolo viso era costellato di lentiggini e le alucce si agitavano in modo sbarazzino dietro di lei.
La statua, terminata la sua storia, era tornata immobile, quindi Clara si rivolse alla strana creatura.
“Ma che cos’è?”
La creatura, che era una fata, la guardò per un attimo sbattendo le palpebre stupita.
“E tu che cosa ci fai qui?” sbottò infine invece di rispondere alla domanda della bambina.
“Mi sono persa” disse Clara, ricordando all’improvviso la sua triste condizione.
La fata le volò accanto, premurosa. “Oh, povera piccola!” le disse prendendole una mano tra le sue e tirandola verso la casetta dalle finestre illuminate.
Se l’esterno era grazioso, l’interno non somigliava a nulla che Clara avesse mai visto. ovunque c’erano fate luminose intente nelle più svariate faccende o a oziare. Scaffali di legno contenevano alla rinfusa barattoli e leccornie, libri, abiti, vasetti di fiori e piccoli animali.
Tavolini e seggioline, cuscini, letti e poltrone erano disposti un po’ a caso nell’ambiente. La fata fece accompagnare la bimba accanto a un piccolo tavolo, le offrì una bevanda calda dolce di miele e alcuni dolcetti e stette a guardarla mangiare. Poi la invitò a esprimere un desiderio, ma Clara la guardò smarrita.
“Devi esprimere un desiderio,” disse la fata con pazienza. “Così io potrò esaudirlo. Ma devi sbrigarti, perché il tempo qui scorre in modo diverso e nel mondo degli umani è già passato un anno, da quando ti sei persa.”
La bambina spalancò gli occhi. Già un anno! Eppure, esitava.
“Che cosa ti trattiene?” chiese la fata guardandola sinceramente preoccupata.
La risposta arrivò in un sussurro. “La statua che narra le storie. È così brava che vorrei sentirne ancora una…”
La fata sorrise. Fece segno a Clara di seguirla e tornò accanto alla statua, che riprese a narrare. “C’era una volta una bimba di nome Clara…” La bimba rimase di stucco. La statua stava raccontando proprio la sua storia!
Ma uno strano torpore la invase e si addormentò di botto sul sasso coperto di muschio.
Quando si svegliò, incredibilmente, era nel giardino di casa sua. Non c’era più traccia delle strane creature alate e luminose, ma la statua che narrava le fiabe era lì, accanto a lei.
Clara si rialzò e l’abbracciò con trasporto, prima di dirigersi verso le finestre illuminate della sua casa, dove la sua famiglia aspettava solo di riabbracciarla.