In un regno
In un regno, neanche troppo lontano, viveva Re Gior… ma in
realtà neanche lui si ricordava bene il suo nome, per tutti era semplicemente
“Sua Maestà”.
Sua Maestà abitava in un castello sulla sommità di una
collina che dominava tutta la vallata. All’occhio del viandante appariva sin da
lontana quella costruzione imponente, scura, quasi senza finestre che al solo
guardarla incuteva paura.
Al sui interno le giornate del popolo erano condizionate da
regole ferree come in una caserma , e nulla poteva essere fatto se non allo
scopo di prepararsi a un’imminente
invasione di un probabile popolo ostile.
Eh già, Sua Maestà
viveva nel ricordo, o meglio nel
terrore, di quando da bambino la sua vita fu segnata da un assedio
durato alcuni anni.
Tutti, ma proprio tutti, trascorrevano le giornate tra
spade, balestre e l’olio bollente che era sempre sul fuoco.
Unica eccezione di quel grigiore era la giovane Principessa
che, cruccio di Sua Maestà , sembrava non appartenere a quel mondo austero. Un
giorno capitò che la Principessa scorse una porticina dimenticata aperta che
permetteva l’uscita dal castello e in un attimo il suo spirito libero la
condusse fuori da quelle mura che nella sua vita non aveva mai varcato.
All’interno del castello non ci volle molto a scoprire la
sua assenza e subito fu il panico, soprattutto per Sua Maestà il Re che
all’improvviso si rese conto di aver perso l’unica luce della sua triste vita.
Si organizzarono subito le ricerche con in testa alla
legione lo stesso Re.
Usciti dal castello pronti alla più terribile delle
avventure, si addentrarono nei piccoli villaggi perlustrando ogni più remoto
angolo del regno, interrogando ogni singolo abitante, che alla vista di tanti
soldati ed armi si rintanava in casa.
Le ricerche non portarono a nessun risultato e preso dallo
sconforto Sua Maestà fece ritorno al castello e ben presto si rinchiuse nelle
sue stanze regali isolandosi dalla vita di castello.
Una mattina, come a seguire un proprio istinto, senza
neanche adornarsi delle vesti regali e tantomeno di armi, in compagnia del solo
cavallo si addentro nella valle alla disperata ricerca di Geltrude … solo
allora si rese conto di non averla mai chiamata col suo nome e di non averla
mai trattata come una figlia, e adesso chissà in quale atrocità si trovava e nella testa reale rimbombavano
come cannonate le sue urla immaginate e le disperate richieste d’aiuto.
Alla vista del Re però questa volta si presentò un altro
paesaggio, o meglio, era lo stesso che giorni prima aveva attraversato con le
sue truppe ma ora era tutto improvvisamente diverso: gli operai lavoravano nei campi, ma si
accorse che erano sereni; le donne nelle
loro faccende domestiche intonavano canti a glorificare la vita e soprattutto
c’erano tanti bambini in ogni dove e tutti a urlare in spensierati giochi.
Fu allora che si rese conto di come aveva tristemente
vissuto e peggio ancora di come aveva costretto al sacrificio la sua famiglia e
i suoi sudditi, e inginocchiatosi all’ombra di un radioso albero sprofondò in
un disperato pianto.
“Cosa la turba tanto
buon uomo da costringerla a tanta pena” disse una voce quasi angelica,
proveniente da qualcuno che con caritatevole amore gli aveva messo una mano
sulla spalla quasi a confortare la sua disperazione.
Voltatosi a si tanta dolcezza, quale aveva vissuto solo da bambino al cospetto della
madre, rimase folgorato alla vista della propria figliola che non esitò ad
abbracciare e baciare improvvisamente
libero dai fantasmi del passato.
Non voglio annoiarvi su
come si svolsero i festeggiamenti per il ritrovamento della Principessa
Geltrude , ma vi posso assicurare che se andaste a far visita al castello non
credereste mai che quello un tempo era un luogo triste tanto quanto è ora radioso e festoso.
Anche questa bellissima fiaba è opera di Claudio.
L'immagine è reperita sul Web.
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