domenica 18 gennaio 2015

La città.libro

La città-libro

C’era una volta un uomo molto indaffarato. Ogni giorno aveva una lista di commissioni da fare lunga così e allora si metteva a testa bassa a fare quello che doveva.
Anche quel giorno aveva iniziato presto, spuntando la sua lista e pensando “Allora, il meccanico per l’auto l’ho fatto… adesso devo fare quella piccola commissione, poi vado al supermercato, poi…”
Non si fermava mai, questo signore, perché era davvero DAVVERO molto indaffarato.
A malapena sollevava lo sguardo da terra quando andava a sbattere contro qualcuno, poi riprendeva le sue attività con gli occhi bassi e rimuginando fra sé le cose che ancora gli restavano da fare.
Non avrebbe saputo dire di che colore era il cielo, perché lui non aveva tempo di guardare il cielo. Forse per questo gli piaceva tanto la nebbia, come quella quel giorno avvolgeva ogni cosa. La nebbia, la vedeva anche continuando a camminare a testa bassa e facendo le sue cose.

Certo, della bellezza e della poesia del mondo sapeva molto poco, quell’uomo indaffarato. Ma così gli sembrava di risparmiare tempo. Scese dal tram e la prima cosa che vide guardandosi intorno fu una gran nebbia. Era in una parte della città che non conosceva affatto, ma non si perse d’animo.
In quella città, ogni via aveva la sua bella targhetta con il nome e ogni portone aveva il suo bel numero ordinato. Non gli ci volle molto per trovare il portone in cui doveva entrare.
Sempre con gli occhi a terra, passò davanti alla guardiola del custode e si avviò per le scale. Doveva andare al secondo piano, gli avevano detto.
Certo, dal cortile veniva proprio dei suoni strani. Sembravano strida di scimmie e di uccelli esotici. Aveva voglia di dare una sbirciata, ma la macchia verde che aveva colto con la coda dell’occhio gli era più che sufficiente per capire che c’erano delle piante, in quel cortile.
Del resto, era davvero troppo indaffarato per mettersi a guardare i cortili, lui.
Figuriamoci! Se avesse perso tempo a guardare tutti i cortili, non avrebbe mai sbrigato in tempo tutte le sue commissioni!

Al primo piano, però, lo sguardo gli toccò alzarlo, quando una noce di cocco gli mancò di poco la capoccia e a momenti lo fece inciampare.
E alzando gli occhi si accorse che, veramente, si trovava in una foresta.
Le scale sparivano di lì a pochi passi in un groviglio di giungla. Gli alberi svettavano alti, fino a un cielo azzurrissimo. Erano ornati da un groviglio di liane. Uccelli mai visti e dai colori sgargianti volavano di ramo in ramo, disturbando piccole scimmie che gridavano irritate. 
L’uomo indaffarato non ebbe il tempo di stupirsi a dovere, perché degli uomini con divise antiquate arrivarono urlando da destra, mentre da sinistra arrivavano altri uomini vestiti di pochi stracci dalla foggia strana. Si misero a combattere proprio davanti a lui.

L’uomo indaffarato sobbalzò, quando un  altro visitatore arrivò dalle scale ansimando un po’.  Gli si fermò accanto, facendosi aria con il fazzoletto.
- Ah! Siamo alle prese con i pirati della Malesia! - disse il nuovo arrivato, di ottimo umore.
- Scusi? 
L’uomo indaffarato faticava a raccapezzarsi.
- Salgari, amico mio. Salagari! - rispose l’altro inoltrandosi senza paura nella giungla.

L’uomo indaffarato ci mise un secondo a prendere la sua decisione. Si girò e si precipitò a capofitto giù per le scale, tornando da dove era venuto.
“Sicuramente ho sbagliato portone” pensava tra sé mentre riguadagnava l’uscita.
Il portone accanto aveva un’aria più rassicurante, con un bel frontone ornato.
All’interno, tutto era silenzioso.
Qui il custode non c’era.
Eppure anche quel cortile sembrava avere qualcosa di strano… Sembrava un giardino orientale, con giochi d’acqua e pavoni che passeggiavano pigri. In un padiglione riccamente ornato, un giovane abbigliato come un principe riposava su cuscini di seta. Aveva l’aria un po’ triste.

- Scusi? - disse l’uomo con un certo imbarazzo. – Saprebbe dirmi per piacere se questo è il portone numero 16?
Il principe si voltò molto lentamente: - Mi dispiace, no. So solo che qui siamo nelle 1000 e una notte, non so dirvi altro.

Ci vollero altri quattro portoni, all’uomo indaffarato, prima di capire che quelli in cui entrava non erano palazzi, ma libri. Libri pieni di storie affascinanti e sempre diverse.
Allora ritornò all’inizio di quella lunghissima via e prese a visitarli tutti quanti da cima a fondo, assaporando ogni attimo.
L’ultima volta che l’ho visto era più o meno all’altezza del portone numero 36, si stava divertendo molto e stava osservando il cielo.
– E mi mancano ancora tutti i numeri dispari! – mi ha detto estasiato prima di infilarsi nel portone successivo. 




domenica 11 gennaio 2015

Il palazzo e la stella degli elfi



Fiasba del fine settimana! L'altra fiaba verrà pubblicata a giorni...

Il palazzo e la stella degli elfi


C’era una volta, c’era, un giovane di belle speranze ma di pochi beni, che alla morte del vecchio padre decise di andare per il mondo in cerca di fortuna.

Solo una barchetta, possedeva, con cui si pescava nel grande mare quanto bastava a sfamarlo.
La sera, approdava in qualche caletta riparata, si accendeva un fuoco e trascorreva la notte guardando le stelle e sognando un futuro prospero e ricco di onori.

Non era una brutta vita, invero, quando le tempeste non ci mettevano lo zampino.
E quella notte, appunto, un mare arrabbiato lo scaraventò su una spiaggia sconosciuta, danneggiando la barca.

Il giovane guardò attentamente da una parte e dall’altra. Non si vedeva nemmeno una lucina di qualche abitazione e non si sentivano altri suoni se non il ruggire del vento e le onde che si infrangevano contro gli scogli.
Tirata in secca la barca, il giovane si avviò in una direzione a caso, sperando di trovare ospitalità in qualche casetta di pescatori.

Dopo molto camminare, infreddolito ed esausto vide infine una luce in lontananza. Era una casupola assai misera, ma in quel momento gli parve una reggia. Gli aprì la porta una donna né giovane né vecchia, con lunghi capelli neri che le ondeggiavano ben oltre le spalle.
Lo accolse senza una parola e gli servì una minestra calda da un paiolo che bolliva sul fuoco. Poi gli diede una coperta affinché si mettesse a dormire accanto al fuoco e se ne andò a dormire anche lei.

Al mattino, quando il giovane si svegliò, la donna gli rivolse finalmente la parola.
«Non ti consiglio di proseguire nella stessa direzione, giovane sventato. C’è grande agitazione, tra gli elfi che abitano quelle terre. Hanno smarrito la loro stella rossa e stanno frugando ogni angolo della costa per ritrovarla. Stanne lontano.»
Un po’ stupito da quella rivelazione, il giovane chiese dove poteva trovare aiuto per riparare la sua barca e, ricevute le indicazioni che gli servivano si rimise in cammino, tornando da dove era venuto. Ma quando si voltò per salutare con la mano la sua ospite, la casupola era scomparsa, e al suo posto c’era un bellissimo palazzo tutto bianco.
“Sicuramente, qualche illusione degli elfi!” pensò il ragazzo allontanandosi velocemente.
In quella quasi inciampò in una gattina minuscola, dal manto rosso. Se ne stava seduta in mezzo al sentiero, come se lo stesse aspettando.
Il giovane la prese in braccio. Aveva un aspetto strano, quella micetta, con il lungo pelo fulvo e gli occhi e le orecchie sembravano un po’ più appuntiti del normale.
Il giovane la rimise giù con delicatezza e riprese la sua strada, ma la gattina lo seguiva, miagolando sonoramente.
“Forse ha fame” pensò il giovane. Sollevatala di nuovo e tenendola in braccio si avviò verso la sua barca, dove era sicuro di avere qualche avanzo di pesce per la sua nuova piccola amica.
La gattina rossa mangiò di buon appetito, poi si accoccolò su alcune funi e si mise a fare le fusa. Il giovane si rese conto che avrebbe voluto tenerla con sé. E così decise.
Riparata la barca, la curiosità sulla misteriosa terra degli elfi riprese il sopravvento e ignorando gli avvertimenti della donna  dai capelli neri proprio in quella direzione diresse la prua.
Navigando a vista vicino alla costa, rivide il maestoso palazzo bianco e poi meraviglie e costruzioni quali non ne aveva mai viste in vita sua.  C’erano palazzi che seguivano i tronchi di enormi alberi dalle foglie tintinnanti e tutto era immerso in una bellissima luce dorata.

Il giovane si era ripromesso di tenersi lontano dalla costa, ma non avendo avvistato nessuno decise di approdare.
Appena ebbe tratto la barca a riva, la gattina scese a terra e iniziò a scrollarsi, rimanendo avvolta in un nube di pulviscolo d’oro.
Quando la povere si posò, al posto della gattina c’era una bellissima giovane elfa, dai capelli fulvi e le orecchie a punta.
In quel momento iniziò a raccogliersi lì intorno una folla di elfi, come spuntati dal nulla.
Il più autorevole si avvicinò al giovane e gli rivolse la parola.
«Grazie. Grazie straniero, per averci riportato la nostra principessa, la nostra Stella Rossa.»
Il giovane si guardava intorno a bocca aperta. «Non avevo idea…» riuscì a dire infine.
I grandi festeggiamenti per il ritrovamento della Stella Rossa gli diedero modo di riprendersi, e quando all’alba gli elfi gli chiesero di restare con loro, il giovane ne fu ben lieto. Le leggende dicono che ancora, nelle sere di nebbia, si può vedere un giovane navigare vicino alla costa, cantando felice.