giovedì 23 aprile 2015

L'ultimo drago

Tempo fa, la Pagina Druidi e le creature del bosco mi ha inviato questa immagine, invitandomi a usarla come ispirazione per scrivere una fiaba.

Questo è proprio lo spirito con cui ho creato questo blog. L'idea di giocare con spunti lanciati o votati da tutti voi, che siano post sulla pagina Facebook, immagini o frasi.

Potevo non raccogliere la sfida?




L'ultimo drago

C’era una volta una Terra Felice abitata da draghi e magia, in cui innumerevoli accessi conducevano là dove i desideri si possono realizzare.

Le genti di quei luoghi utilizzavano gli accessi - sorvegliati da draghi - per andare a chiedere guarigione dalle malattie, poteri, amore, ricchezze.
I desideri umani trovavano in quei luoghi accoglienza e soddisfazione, per coloro che ne conoscevano l'esistenza e le regole. 

Le terre erano prospere, le ricchezze inesauribili, la gente felice. Era, quello, un equilibrio talmente perfetto che avrebbe potuto proseguire nei secoli, se solo…
Se solo non fosse arrivato un giorno uno straniero colpito dal male dell’avidità. Aveva bei modi, lo straniero, e abiti lucenti e una lingua suadente. E al posto del cuore un abisso di ingordigia che neppure tutte le magie del mondo avrebbero potuto colmare, dacché non gli bastava avere a disposizione ricchezze e poteri, salute e affetti. Per quel cuore malvagio, tutti questi beni erano inutili, se non si stagliavano sullo sfondo di altrui infelicità. Così lo straniero ammassò grandi ricchezze a grandi poteri, e in un notte senza luna attraversò di nascosto l’accesso e chiese… di divenirne il solo e unico essere umano a poter disporre di quel luogo. 
Il drago che era di guardia lanciò un lamento che risuonò per miglia e miglia, quando fu stretto dalle catene che lo imprigionavano per sempre alla volontà del malvagio. 
Nessuno capì il significato di quel lamento, ma fin troppo presto gli abitanti  di Terra Felice scoprirono che tutti gli accessi ai luoghi della realizzazione dei sogni erano stati distrutti e tutti i draghi guardiani uccisi. Tutti, tranne uno, di cui lo straniero si proclamava unico e solo padrone. 

Per la prima volta in secoli e secoli, a Terra Felice si provarono i morsi della fame, le miserie delle ristrettezze e si udirono gemiti sommessi del dolore e delle malattie. La solitudine iniziò a insinuarsi sotto gli usci e nei cuori; la diffidenza e la paura presero a strisciare accanto agli abitanti, che poco a poco iniziarono a partire in cerca di luoghi più fortunati e meno infelici.

L’ultimo drago non sapeva proprio che fare, per fermare quel disastro. Almeno fino a quando, guardando la luna, ricordò esattamente le parole usate dallo straniero per esprimere il suo desiderio. Aveva chiesto di essere l’unico “umano a poter usufruire di quei luoghi. Ma non aveva detto nulla dei draghi!

Ferendosi con le catene che lo stringevano, l’ultimo drago attraversò l’accesso e chiese. Chiese di cadere in un sonno profondo, di chiudere l’accesso fino a quando un uomo degno e capace di condividere non fosse tornato a svegliarlo. 
Detto questo tornò all’esterno, si acciambellò di fronte all’ingresso e cadde in un sonno profondo che dura ancor oggi. 
Sono passati tanti secoli, ormai, e il tempo ha corroso le antiche catene e i muschi hanno coperto il corpo del drago addormentato, che ora sembra di pietra. Ma se guardate bene l’immagine, riconoscerete la testa possente e il lungo corpo avvolto che sorvegliano ancora l’accesso al luogo in cui si realizzano i desideri, in attesa del Risveglio.

  



lunedì 20 aprile 2015

La borsa della fata

Il post di oggi è una fiaba  ispirata da una borsina prodotta da Il Filo Stregato.
Siamo in luna crescente, il momento ideale per richiamare fortuna e protezione. Vi auguro di cuore che la borsa della fata vi porti tutto ciò che desiderate e di cui avete bisogno.

La borsa della fata

Nottolino non era mai stato baciato dalla Fortuna. Né alto né basso, né ricco né povero, né bello né brutto, sembrava essere destinato a una di quelle vite che si consumano senza lasciare traccia come pozzanghere al sole.
Non c’era niente di particolare in quel giorno in cui si trovò a passeggiare nel bosco, se non una strana limpidezza dell’aria, una brillantezza di colori davvero insolita.
E mentre osservava queste cose con il naso in su, non si accorse di essere giunto in una radura e che almeno quattro paia di occhietti lo stavano osservando.
Trovandosi all’improvviso vicinissimo ai cinghiali che lo fissavano (per la verità perplessi quanto lui) Nottolino diede un balzo e si arrampicò velocissimo su di un albero un po’ troppo fragile per reggere il suo peso, rovinando subito dopo in una buca profonda quanto l’Inferno. 
Una volta abituati gli occhi all’oscurità, percepì una codina tremante e due grandi occhi fissi su di lui. 
“Chi sei?” chiese Nottolino. 
“Ti prego, non mangiarmi” disse la bestiola avvicinandosi, in modo che da farsi vedere. 
“No che non ti mangio,” rispose il ragazzo osservando quello strano essere. Aveva la coda vaporosa di uno scoiattolo, ma innestata su un corpicino striminzito e tremante, sormontato da una testa enorme quasi tutta occupata da due occhioni rotondi e sormontata da buffe orecchie triangolari.
“Aiutami a uscire di qui,” disse la bestiola. “E io aiuterò te.”
“Io posso aiutarti a uscire,” disse Nottolino. “Ma non vedo proprio come TU potresti aiutare me. Comunque, sali sulla mia spalla.”
Così, una volta presa in spalla la bestiola, il ragazzo iniziò ad arrampicarsi con le mani e con i piedi sulle pareti della fossa. 
Quando furono vicini all’uscita, però, una parete di roccia liscia come uno specchio gli impedì di proseguire. Tenendosi ad alcune radici, riuscì comunque a issarsi ancora un po’ e a lanciare la bestiolina sul bordo, dove si trasformò immediatamente in una bellissima fata.
“Ricorda! Hai promessi di aiutarmi!” le urlò Nottolino ancora dentro la buca. 
“Io non dimentico,” rispose la fata, ma immediatamente dopo si voltò e scomparve, non prima di aver perso una borsina verde che portava su una spalla e che andò a cadere proprio sul naso di Nottolino. 
“Perfetto,” penso questi amareggiato. “Sono qui in una buca da cui non so uscire, con solo una borsina vuota in mano. Se solo avessi una fune e un gancio!”
Immediatamente la borsa si fece più pesante e al suo interno c’era proprio una fune leggera e robusta che brillava come argento e un gancio abbastanza grande e pesante, che al primo lancio si andò a fissare saldamente sul ramo di un albero consentendo al ragazzo di issarsi con la fune fuori dalla buca. 
Una volta in salvo, il giovane ripose tutto nella borsa, che tornò immediatamente vuota, e si mise a osservarla. Era una borsa di seta verde, ornata di foglie disposte graziosamente e chiusa da un bottone di un legno chiaro che doveva essere nocciolo, il legno magico e protettivo tanto amato dalle fate.
Si diresse quindi verso casa, questa volta stando bene attento a tutti i suoni  del bosco per non imbattersi nuovamente nei cinghiali, fino a quando quasi andò a sbattere contro un rovo carico di frutti maturi.
“Se solo avessi un cestino,” disse Nottolino tra sé “potrei raccoglierne un po’ da portare a casa.”
Ma ecco di nuovo la borsina farsi più pesante, rivelando un cestino proprio delle dimensioni giuste per contenere quelle belle more.
Da quel giorno, la vita di Nottolino cambiò e per molti anni poté fare affidamento su quella borsina che gli concedeva in ogni istante ciò di cui aveva più bisogno e da cui non si separava mai. Ma mentre lui invecchiava, la borsina rimaneva sempre bella e lucente come il primo giorno.
L’aveva ancora con sé, quando si recò a passeggiare nello stesso bosco e notò la stessa brillantezza di colori di tanti anni prima. La borsina si fece luminosa come se avesse una lanterna al suo interno e all’improvviso ecco comparire la fata, bella e splendente come se per lei tutti quegli anni fossero stati solo una manciata di secondi.
Rivedendola Nottolino, che ormai era vecchio e non aveva più nulla da perdere, non riuscì a trattenersi dal rimproverarla. “Mi avevi promesso aiuto, e invece te ne sei andata, quel giorno. Se non avessi perso la borsa, io sarei morto dentro a quella fossa.”
La fata lo guardò con aria curiosa, prima di dire con calma: “Le fate non perdono mai niente. Era un dono, il mio, per ringraziarti di avermi salvata. Ma visto che sei ingrato e che invece di coltivare la riconoscenza hai preferito coltivare il rancore, ti chiedo di restituirmi quello che mi appartiene.” 
Detto ciò allungò imperiosamente una mano e Nottolino vi depose di malavoglia quella borsina che per tanti anni era stata la sua compagna fedele. 
La fata scomparve e l’uomo non la rivide mai più, ma generosamente lasciò a Nottolino tutti i beni e le fortune che in tanti anni la borsina gli aveva procurato, insieme alla più grande lezione di tutta la sua vita.