martedì 30 giugno 2015

Il segreto dell'Acqua

Anche questa volta la fiaba è un po' in ritardo.
Ho unito diverse immagini tra le più votate sulla pagina di Facebook, tra cui la bimba dagli occhi di cielo e il tunnel di sole. 
Comunque, eccola. 




Il segreto dell’Acqua

Le antiche leggende raccontano che l’alba e il tramonto sono i momenti della giornata in cui tutto è possibile.
Mentre il Signore dell’Oscurità e il Sole si fronteggiano, agli esseri umani è finalmente concesso di scegliere il proprio destino, di iniziare cambiamenti.
Quando un bambino nasce in questi istanti, i due Signori se lo contendono con tutte le forze, sapendo che in meno di un battito di ciglia si deciderà se quel neonato andrà a ingrossare le fila della Luce o dell’Ombra.
Così fu in quel mattino, quando ancora l’oscurità avvolgeva la terra e una bella bambina stava venendo alla luce.
Il Sole aveva appena iniziato a disegnare una linea più chiara all’orizzonte, ancora troppo lontano per reclamare la piccola.
Ma quando ormai il Signore dell’Oscurità stava allungando le mani trionfante, per qualche mistero un sottilissimo raggio di sole rosa rimbalzò su una goccia di rugiada, che lo deviò e lo aumentò quel tanto che bastava per mandarlo dritto dritto sul volto della nuova nata.
Il Sole si alzò maestoso e alla bimba di luce fu imposto il nome di Rugiada.
Aveva occhi di cielo e capelli che conservavano la memoria di quel primo raggio di sole rosa.
Ma da quel giorno, a ogni alba e tramonto di due Signori litigavano ancora per il diritto su di lei e, poiché i bambini vedono tutto, Rugiada in quei momenti diventava silenziosa.
Passarono gli anni e davvero sembrava non ci fosse alcun dubbio sul destino di quella bambina che era sempre felice, e cantava e iniziava ogni giorno con un grande sorriso.
Agli occhi distratti degli adulti, quei pochi istanti in cui la piccola osservava il cielo al tramonto, stranamente tranquilla, potevano sembrare solo la naturale stanchezza dopo i giochi e le scoperte del giorno.
Ma non era così.
Rugiada continuava a vedere i due Signori fronteggiarsi per lei, giorno dopo giorno, e ne provava un grande dispiacere.
Il Sole la vezzeggiava, le regalava spesso i suoi raggi più luminosi e più belli, a volte lasciandone alcuni accanto al suo letto, prima di tramontare.
E la bimba, con quei raggi di sole, intrecciava stupendi bracciali e collane con cui si ornava durante il giorno.
L’Ombra, dal canto suo, creava per lei angoli riparati e freschi tra le fronde del giardino e ne cullava il sonno, cantandole canzoni fatte di frinire di grilli e fruscii di foglie.
Ma era soprattutto in giardino che i due avversari si scontravano
Se l’Ombra creava un tunnel ombroso di foglie, il Sole immediatamente lo ornava di luminosi fiori gialli, per non farsi dimenticare. Se il Sole illuminava un prato, l’Ombra ne ricamava le superfici e i bordi con ombre di alberi e cespugli.
Finché un giorno, ormai abbastanza grande, Rugiada ebbe un’idea.
Chiese aiuto all’Acqua, che viveva in perfetta armonia con entrambi, giocando con la luce di giorno e facendosi scura come l’inchiostro di notte. E l’Acqua le rivelò il suo segreto.
Adesso Rugiada sapeva.
Doveva solo farlo sapere ai due Signori.
Decise di farlo costruendo un laghetto, con l’aiuto dei genitori e dei fratelli.
Un laghetto rotondo, per metà alla luce e per metà all’ombra, in cui l’armonia fra le due parti fosse evidente attraverso la linea sinuosa che le separava e le univa. Pesci di colore diverso furono posti a nuotare in quel laghetto, che dall’alto si vedeva benissimo.
Il Sole e il Signore dell’Ombra videro, infatti, e si fecero una bella risata.
Con quel gesto, Rugiada reclamava il diritto di scelta per se stessa e per altri. Non creature d’ombra o di luce, dunque, ma d’ombra e di luce.
Da quel giorno, altri bambini come lei vennero al mondo, salvati dal segreto dell’Acqua, in cammino verso un’umanità finalmente padrona del proprio destino anche al di fuori dei magici istanti dell’alba e del tramonto.

     
L'immagine utilizzata è della pagina Fantasy of Dreams

venerdì 12 giugno 2015

L'uovo di drago

Quando sulla pagina di Facebook avete votato l'immagine dell'uovo di drago, mi avete messo un po' in crisi.  Molti grandi scrittori hanno trattato questo argomento prima di me in modo magnifico. Che cosa avrei potuto dire, di nuovo?
Grazie a Dianora per avermi messo sulla strada giusta. E allora, ecco la vostra fiaba.






L’uovo di drago

Clarallegrabella non era una fata silenziosa. Come incaricata della cura delle uova di drago, e di carattere MOLTO irrequieto, aveva inventato un sistema per portarsi appresso le uova ovunque andasse, appese alla cintura come un ammasso multicolore e tintinnante. 

Poco male per le uova di drago, che sono resistentissime e si schiudono solo quando è tempo, ma per gli abitanti del bosco sentire quello scampanellio continuo non era molto piacevole. Invano i folletti, gli gnomi e gli altri abitanti del bosco avevano pregato la fata di starsene un po’ a casa, almeno ogni tanto…
Quando spaventava i cuccioli o li svegliava nel sonno borbottavano “Sciò! Via di qui!”
Clarallegrabella non ci badava e continuava a scorrazzare di qua e di là, accompagnata da tutte le sue uova tintinnanti.

Non proprio tutte, a dire il vero. Perché quel giorno, non riuscendo proprio resistere a quelle belle ciliegie che le sorridevano dall’albero, la fata si arrampicò agilmente fino in cima e non discese fino a quando non ebbe le labbra rosse rosse e un gradevole senso di soddisfazione nel pancino.

Proprio non si accorse dell’uovo di drago rosso come le ciliegie rimasto impigliato a un ramo. Chi avrebbe potuto notarlo?

Solo a sera inoltrata, quando finalmente tornata a casa contò come d’abitudine le uova, si accorse di averne perso uno. Senza indugio accese le ali notturne, che emanavano un bel bagliore dorato, e si mise a cercare per tutto il bosco. Ma niente. 

L’uovo di drago, intanto, dopo avere oscillato gradevolmente per un po’ sospinto dalla brezza primaverile, era capitombolato giù dall’albero, rotolando per un bel pezzo lungo un pendio erboso. 
Lo avevano fermato le radici di un albero, che purtroppo, nascondevano una tana profonda. 

Il ghiro che la abitava si era indignato non poco, quando l’uovo lo aveva colpito dritto sul muso.
Aveva già indossato la camicia e la berretta da notte e non prese affatto bene quell’aggressione involontaria.
Subito gettò l’uovo fuori dalla tana, borbottando: “Ma guarda se uno non può starsene tranquillo nemmeno nella sua casa! Sciò! Via di qui!”

L’uovo continuò a rotolare e rotolare, fino a quando finì in un allegro torrente, disturbando non poco un ranocchio che proprio in quel momento era impegnato in una serenata gracidante piuttosto complicata. “Sciò! Via di qui!” urlò il ranocchio, ma l’uovo era già atterrato su una bella foglia di ninfea che navigava tranquilla sulle acque.

Insomma, tranquilla fino a quando non arrivarono le rapide, perché a quel punto l’uovo fu sbalzato sulle rocce, e rimbalzò andando a colpire la coda di un topolino che stava per l’appunto sfuggendo a un gatto…
Il topolino si liberò la coda con una strattone e gridò: “Sciò! Via di qui!.”
Ma l’uovo era già rotolato lontano…

Insomma, sarebbe lungo raccontare tutte le peripezie del povero uovo di drago in quella notte, ma molte ore e molti “Sciò!” dopo, l’uovo finalmente si fermò in una radura inondata dalla luna piena e si schiuse, così, tutto solo.

Ora, dovete sapere che anche per i draghi la prima cosa in movimento che vedono al momento della schiusa rimarrà per sempre importante e desiderata. Per sfortuna, la prima cosa che vide il draghetto fu la luna, che sembrava uscire proprio in quel momento da alcune nubi leggere…

Subito il piccolo drago cercò di spiccare il volo per andare da quella cosa così bella e bianca, ma per fortuna non aveva ancora imparato a volare. 
Faceva solo dei gran salti, piagnucolando sommessamente e ricadendo ogni volta sull’erba.

Fu così che lo trovò Clarallegrabella all’alba, il guscio rosso ciliegia abbandonato poco distante. 
La fata lo raccolse delicatamente e lo studiò avvicinandoselo al viso. 
Subito fu presa da una tenerezza infinita per quel povero drago quasi-sperduto e gli disse teneramente: “Ma chi sei tu?”

Il drago la guardò a sua volta e poi, purtroppo, cercò di pronunciare quella parola che aveva sentito infinite volte prima di nascere: sciò.
Purtroppo, la pronuncia di una simile parola, in un drago appena nato, porta inevitabilmente a qualche fiammata incontrollata…

La fata si ritrovò in un lampo con le punte delle alucce bruciacchiate e tutto il viso sporco di fuliggine. 

Siccome aveva un grande senso dell’umorismo, decise di chiamare il piccolo drago proprio così: Sciò. Si fece una risata e lo riportò a casa, senza sapere che un’altra sorpresa l’attendeva. Perché quella sera, al sorgere della luna, Sciò iniziò a pingere e a cercare in tutti i modi di spiccare il volo. 

Da allora, la fata imparò a trovarsi sempre a casa e con le finestre ben chiuse a ogni sorgere di luna, passando quasi sempre la notte a cercare di trattenere Sciò. 
Così, durante il giorno era tanto stanca da gironzolare molto meno, con buona pace di tutti gli abitanti del bosco, che da quel giorno dovettero usare la parola Sciò solo per chiamare il loro nuovo amico.