venerdì 9 maggio 2014

La montagna di cristallo

Ciao a tutti. Ecco la fiaba di oggi.

La montagna di cristallo
Nel regno di Corcovaldo, migliaia di anni fa, si ergeva un’enorme montagna di cristallo.
Era una montagna unica al mondo e la sua bellezza era leggendaria.
Nei giorni sereni, i raggi del sole attraversavano il cristallo e riempivano la vicina valle di Terraricca di migliaia di arcobaleni. Lì, ogni cosa cresceva rigogliosa, dai banani agli abeti, dalle orchidee ai cedri del Libano insieme a tutti i tipi di ortaggi , di frutta e di fiori.
Per le singolari condizioni di luce create dalla montagna, gli abitanti erano sempre felici e di buonumore. Non conoscevano l’avidità, perché c’era cibo in abbondanza per tutti, e non conoscevano l’invidia, il rancore né l’odio.
Non loro. Ma dall’altro lato della montagna di cristallo c’era invece la valle di Terrasecca in cui i riverberi del cristallo facevano seccare ogni cosa. Gli abitanti di quel luogo sudavano sette camice per trarre da quella terra bruciata un pugno di segale per sfamare la famiglia.
Quella fatica costante li aveva resi aspri, egoisti e invidiosi di tutto e di tutti.
Nelle notti d’estate soprattutto, quando gli abitanti di Terraricca accendevano i falò e danzavano per festeggiare la loro fortuna, gli abitanti  di Terrasecca rimanevano a osservare i bagliori attraverso la trasparenza del cristallo, rodendosi d’invidia.
Non c’era modo di passare da una valle all’altra. Solo antiche leggende e racconti di viaggiatori che avevano superato miglia e miglia di montagne impervie avevano portato qualche notizia di quello che c’era dall’altra parte della montagna di cristallo, che era impossibile da scalare.
Solo gli uccelli conoscevano i segreti di quelle vette. Le gradi aquile bianche, soprattutto.
Vivevano sulle cime più impervie, dove prosperavano indisturbate.
Ma un giorno, chissà come, un aquilotto nato da poco cadde dal nido e ruzzolò e scivolò sul cristallo fino a Terraricca. Lo trovò un bambino di nome Fortunato, che se lo portò a casa e se ne prese cura fino a farlo diventare una bella aquila grande e forte, chiamata Tempesta per la rapidità e la potenza del suo volo.
Fortunato e Tempesta erano grandi amici, ma la natura dell’aquila è quella di volare lontano e, allontanandosi sempre di più nel corso delle sue esplorazioni, un giorno Tempesta finì per posarsi sul suolo di Terrasecca.
Era abituata agli uomini, e non si preoccupò quando decine di occhi avidi iniziarono a osservarla.
A un tratto qualcuno le saltò addosso e le immobilizzò le ali, mentre qualcun altro le legò il becco possente e le zampe con stringhe di cuoio. Tempesta lottò come meglio poteva, ma ben presto fu sopraffatta dal gruppo di uomini affamati.
Per sua enorme fortuna, però, a quel punto gli abitanti di Terrasecca iniziarono a litigare per decidere chi dovesse tenere l’aquila. Tempesta non si lasciò sfuggire l’occasione e con le zampe e il becco ancora legati, riuscì a spiccare il volo e a rifugiarsi sulla cima della montagna.
Era talmente spaventata che non pensò di andare a cercare l’aiuto di Fortunato e, stringendo forte con gli artigli sul cristallo, iniziò a picchiare furiosamente con il becco per cercare di liberarsi dei legacci di cuoio.   
Si aprì una crepa nel cristallo, ma Tempesta non se ne accorse e continuò a picchiare e picchiare fino a quando la crepa si estese a tutta la montagna e poi, con un gran fragore, tutta la montagna di cristallo andò in frantumi. 
Gli abitanti di Terraricca e Terrasecca si incontrarono così per la prima volta. Scoppiò una guerra che durò trecento volte cento anni, perché dapprima gli abitanti di Terrasecca portarono via tutto a quella di Terraricca, poi questi, rimasti senza nulla, mossero guerra a Terrasecca e così via e così via, fino a quando, per lo scorrere naturale del tempo, le ricchezze delle due valli finirono più o meno per essere uguali e gli abitanti poterono vivere in pace.
Da quegli abitanti discendiamo tutti noi, capaci di essere generosi e gentili come i nativi di Terraricca o avidi e invidiosi come quelli di Terrasecca.
E le grandi aquile? Durante tutte quelle guerre, senza più cime impervie in cui rifugiarsi, se ne andarono lontano. Tempesta riuscì infine a liberarsi dei legacci grazie alle schegge taglienti del cristallo, ma anche lei volò lontano e non tornò mai più. Forse la potrete vedere volare, se siete fortunati, sulle cime di alcune montagne. La potete riconoscere dal pezzetto di cuoio svolazzante che ancora le penzola da una zampa.  
 

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