lunedì 22 dicembre 2014

Il piccolo drago

La fiaba di questo fine settimana, come sempre scelta da Voi votando gli gli spunti sulla pagina facebook della Disfida.

Il piccolo drago (prima parte)

Il cavaliere cupo osservava  senza vederla la figlia che giocava sul prato, immerso in neri pensieri.
Aveva sbagliato le alleanze e dato prova di intolleranza una volta di troppo.

Aveva perso il suo feudo, aveva perso il suo castello, aveva perso la sua sposa in quell’ultima cruenta battaglia.
Forse avrebbe dovuto rallegrarsi di avere ancora la vita e la sua figlioletta, che rincorreva spensierata farfalle. Ma non ci riusciva.
Non sapeva che cosa aspettarsi da quella marcia penosa che aveva intrapreso per raggiungere suo cugino, oltre le montagne.
Forse lo avrebbero aiutato, forse avrebbe potuto tornare alla testa di un esercito a reclamare quello che era suo di diritto.  Oppure il suo lunatico cugino si sarebbe limitato a offrirgli ospitalità, come voleva la tradizione, ma nulla di più.

- Eleonor! Vieni a mangiare!
La lepre che aveva cacciato e posto ad arrostire sul fuoco era ormai pronta.
La bambina si avvicinò tenendo qualcosa racchiuso con delicatezza tra le due mani unite. Una cavalletta, a giudicare dal bagliore verde che aveva scorto guizzare tra le piccole dita.
- Padre, guardate…
La bambina dischiuse i palmi e il cavaliere gettò un’occhiata distratta. Poi guardò meglio.
Un drago piccolissimo e dall’aria bellicosa si scrollava sulla mano di sua figlia.
“Per tutti i diavoli” pensò il cavaliere. Aveva sentito narrare molte storie sui draghi. Creature possenti in grado di distruggere molti uomini con una sola zampata. Non si aspettava certo una creatura così minuscola da poter essere schiacciata come un insetto. Eppure, sicuramente, di un drago si trattava. Il piccolo corpo era coperto di squame lucenti, che brillavano al sole come smeraldi. Sulla schiena ricca di aculei si aprivano due ali che il cavaliere distese delicatamente con la punta delle dita. Il piccolo drago lo morse all’istante, rivelando una mandibola ricca di dentini affilati come lame. Il cavaliere rise.

- Posso tenerlo, padre? Posso tenerlo?
Eleonor saltellava da un piede all’altro, in preda all’eccitazione.
Il cavaliere fu colto da un’ondata di tenerezza per quella piccola che lo seguiva da giorni in quel viaggio per territori impervi, dormendo all’addiaccio e mangiando quello che capitava senza mai lamentarsi.
- Va bene. Puoi tenerlo. Ma solo se non cresce troppo. Che nome vuoi dargli?

In quella sentì una voce riverberargli nella mente. “Flagello. Mi chiamo Flagello.”
- Flagello - disse la bambina sedendosi accanto al padre. – Credo che si chiami Flagello.
Il piccolo drago fece un vigoroso cenno d’assenso con la testolina, emettendo per l’eccitazione una piccola fiammata dalle narici.
“Di certo è un bel tipetto” pensò il cavaliere iniziando a mangiare, e per la prima volta da giorni un sorriso gli aleggiò sul volto. Il piccolo drago fece onore al pasto improvvisato, azzannando voracemente i pezzetti di lepre che gli venivano offerti. Poi sbadigliò emettendo un piccolo anello di fumo, si acciambellò sulla spalla di Eleonor e si mise a dormire.
Il cavaliere lo osservò per un bel pezzo, mentre il cielo imbruniva e si copriva di stelle. Coprì con cura la figlia addormentata con il mantello e rimase sveglio a lungo immerso nei suoi pensieri.
Ma alla fine si addormentò anche lui, seduto con la schiena appoggiata al tronco di un albero.
Fu svegliato da un pensiero allarmato. “I lupi!”
Il piccolo drago era ben sveglio e scrutava sbuffando un punto nell’oscurità. Il cavaliere balzò in piedi, impugnando la spada con una mano e un ramo infuocato con l’altra. Due occhi lo scrutavano in lontananza. Il cavaliere si slanciò in avanti e la sagoma scura che lo aveva osservato si allontanò, forse giudicandolo una preda un po’ troppo bellicosa.
Il cavaliere tornò accanto al fuoco. Eleonor continuava a dormire tranquilla. - Grazie per avermi svegliato – disse a Flagello mentre riattizzava il fuoco.
La risposta giunse immediata nella sua mente: “Hai bisogno di riposare. Stai tranquillo. Sto io di guardia.”
Il drago si pose oltre le fiamme, intento a scrutare l’oscurità e il cavaliere non dubitò nemmeno per un istante di potersi fidare.
 
(segue…)


Il piccolo drago (parte seconda)

Dormì sereno come non gli capitava da tempo, senza sussultare a ogni minimo fruscio e senza incubi.
Quando si svegliò, ben riposato dopo tanti giorni, trovò il drago intento a riattivare il fuoco con piccole fiammate che emetteva dalla bocca.
Gli prese un senso di gratitudine per quella piccola creatura che si rendeva così utile e lo ringraziò con un sorriso.
- Grazie a te, potremo avere una colazione calda. Eleonor ne sarà felice.
Il drago sbuffò ancora un po’ di fuoco e indicò due frittelle dolci, posate su una foglia lì accanto.
Il cavaliere si chiese come avesse potuto trasportarle, visto che erano molto più grandi del drago, ma non disse nulla per non ferirne i sentimenti. Invece svegliò sua figlia e si dedicarono a una breve colazione, prima di rimettersi in viaggio.
Mentre ritornava con la mente alle consuete preoccupazioni, venne interrotto da un pensiero del drago: “Ma perché andare da tuo cugino, visto che non sai se ti darà aiuto?”
L’uomo scosse la testa.  – Non ho altre alternative…
“Potrei chiamare i miei parenti”  gli comunicò il drago, fissandolo con aria fiera.
- Non credo che sarebbero di grande aiuto…
“Oh! Ma non sono tutti come me. Io sono venuto così per via di un incantesimo, ma gli altri sono di dimensioni più… consuete.”
- E sarebbero disposti a combattere per me?
“Possiamo sempre chiedere” rispose il draghetto.
Mentre Eleonor si gustava la sua ciambella dolce, il drago si arrampicò su un alto albero e iniziò a cantare.
Il canto dei draghi somiglia molto al sibilo del vento e copre in poco tempo grandi distanze. Alla fine sembrava che tutta l’aria intorno vibrasse di quella strana melodia. 
Il cavaliere fissava il cielo e a un tratto scorse dei puntolini in lontananza, che si ingrandivano sempre di più avvicinandosi…
Il primo ad atterrare sul prato davanti a loro fu un maestoso drago tutto nero. Era così immenso che la sua testa rimaneva ben al di sopra degli alberi più alti e la sua zampa – notò il cavaliere con una certa apprensione – era più grande di un uomo tutto intero e ornata di lunghi artigli.

“Ciao papà!” lo saluto allegramente il piccolo drago. In rapida sequenza ne arrivarono altri dieci, tutti enormi e ugualmente spaventosi.
Flagello li presentò al cavaliere e spiegò la situazione con mirabile chiarezza, chiedendo il loro aiuto per riconquistare il feudo. Evidentemente, mentre il cavaliere dormiva il drago aveva letto profondamente nella sua mente e nel suo cuore.
 
“Perché dovremmo aiutarlo?” chiese infine il drago nero.
“Perché io mi sono legato alle sorti di questa famiglia e quella deliziosa bambina mi vuole tenere con sé” rispose Flagello.
I draghi ponderarono la questione per un tempo che al cavaliere parve lunghissimo, ma alla fine acconsentirono, chiedendo al cavaliere di giurare che si sarebbe preso buona cura di Falgello. Presero a volare in formazione al di sopra dei cavalli, ora lanciati la galoppo nella direzione opposta.
Il cavaliere scelse percorsi ancora più isolati, ora che i draghi volavano sopra delle loro teste, per evitare che qualcuno scorgesse quel singolare esercito composto da un nobile cavaliere, da una bambina, da un drago minuscolo e da dieci enormi draghi volanti.
Il viaggio di ritorno fu più breve, perché di draghi li aiutavano nei passaggi più difficili sollevando i cavalli con tutto il loro carico e portandoli in volo per un tratto. 
Quando arrivarono ai piedi del castello era già calata l’oscurità.
Al cavaliere batteva forte il cuore, pensando alla sua casa e alla sorte della sua amata sposa. Ma i draghi furono rapidi e silenziosi. In un attimo si sbarazzarono delle sentinelle e portarono il cavaliere oltre il fossato e le spesse mura di cinta.
Eleonor, con Flagello accomodato su una spalla, fu affidata a un drago bianco che l’avrebbe protetta a costo della vita.
Alla fine fu facile, con l’aiuto dei draghi, riconquistare il castello e avere la meglio sull’esercito degli usurpatori. I pochi superstiti fuggirono urlando terrorizzati nella notte e il cavaliere era certo che non avrebbero osato sfidarlo mai più.
Liberati i suoi uomini dalle segrete, ebbe la gioia di sapere che la sua sposa era viva, anche se tenuta prigioniera nella torre più alta.
Il cavaliere corse a liberarla, salendo i gradini a quattro a quattro.

I draghi rimasero per qualche giorno ospiti del castello, mentre il cavaliere riprendeva possesso di quanto gli apparteneva. Dormivano raggomitolati sulle torri e accettavano di buon grado i lauti banchetti che il cavaliere e sua moglie, al colmo della gioia, volevano offrire in ringraziamento.
Alla fine dovettero partire, ma il cavaliere rimase a lungo il signore più temuto della regione, colui che aveva l’alleanza dei draghi.
Flagello rimase per sempre l’ospite più onorato e la sua immagine svetta ancora oggi sullo stemma della casata. Visto così, sembra proprio un terribile drago e sono in pochi a sapere che in realtà era lungo quanto un pollice. Ma valoroso e fedele quanto il più grande dei draghi.






domenica 14 dicembre 2014

Scarpe e cappello






Ecco la fiaba del fine settima.

Per piacere, non smettete mai di sognare.


 Scarpe e cappello

C’era una volta un uccellino brontolone, che trovava sempre il modo per lamentarsi di tutto. Il sole era troppo caldo, la pioggia troppo bagnata, gli alberi troppo alti o troppo bassi…

I suoi parenti dello stormo erano sempre di buonumore e iniziavano ogni giorno cantando felici, mentre lui si lamentava di aver dormito in un  nido troppo scomodo e di essere stato disturbato da una goccia di rugiada.

Tutti gli volevano bene e lo ascoltavano pazientemente, ma quell’autunno, quando venne il momento di migrare, l’uccellino brontolone si stava lamentando a voce tanto alta che non udì il richiamo.

Così, lo stormo partì senza di lui, che era talmente impegnato a lagnarsi da accorgersi di essere rimasto  indietro solo diversi giorni dopo. All’improvviso, sporgendosi dal nido un bel mattino, si rese conto di uno strano silenzio. Nessuno cinguettio, nessuno che cantava felice.

Chiese informazioni a uno scoiattolo, scoprendo che lo stormo ormai era partito ormai da troppo tempo per poter sperare di raggiungerlo.

L’uccellino scese a terra e iniziò a passeggiare avanti e indietro, tenendosi dietro le alucce e a capo chino. Naturalmente, la sua situazione era molto preoccupante e l’uccellino ragionava e si lamentava a voce alta. Così non si rese conto dell’arrivo di un coniglio bianco che arrivava a tutta velocità, a testa bassa, lamentandosi a sua volta: “Povero me. Povero me. Sono DI NUOVO in ritardo.”

Lo scontro fra i due fu bello tosto e ruzzolarono in direzioni opposte. Si rialzarono entrambi tenendosi le capoccine, ma l’uccellino – che era più allenato – iniziò per primo a lamentarsi.

“ Ma dico io se bisogna andare in giro senza nemmeno guardare dove si va!”
Ma anche il coniglio fu lesto a riprendersi: “Proprio! E sono già in tremendo ritardo!”
“Ma almeno lei non è stato abbandonato dal suo stormo, con l’inverno alle porte e nessun riparo conveniente e…”
“Va bene, va bene” tagliò corto il coniglio, che non era un tipo molto paziente e inoltre andava di fretta. “Facciamo così, caro uccellino. Per farmi perdonare, vi invito a trascorrere l’inverno nella mia tana. È dotata di tutti i comfort, è calda e c’è spazio in abbondanza. Se volete seguirmi, vi mostro la strada.”
Detto ciò il coniglio riprese a filare a perdifiato e l’uccellino dietro, sempre brontolando.

Ma… un momento. Perché l’uccellino adesso camminava, invece di volare?
Che cosa dite? Colpa della botta in testa?
Può darsi. Può darsi…

Dopo un bel tratto di strada, il coniglio bianco si infilò in una tana e l’uccellino lo seguì.
In effetti era una bella tana spaziosa, arredata con gusto e con un bel camino in cui ardeva un fuoco scoppiettante. Ma credete che il nostro brontolone fosse soddisfatto? Nemmeno per sogno.

Mentre il coniglio si aggirava per la casa cercando chissà che, l’uccellino gli andava dietro pigolando: “E non sono nemmeno equipaggiato per questo freddo tremendo. Non possiedo nemmeno un paio di scarpe, né un cappello…”
“Scarpe e cappello” ripeté il coniglio, tirando fuori un ventaglio da un cassetto. “Molto bene, amico mio. Devo uscire per una commissione. Vi comprerò io quanto vi necessita. Intanto, mettetevi a vostro agio, io tornerò tra poco. Scarpe e cappello. Scarpe e cappello…”
Ripetendo quelle parole, il coniglio uscì in fretta e furia.

L’uccellino si guardò intorno. Era completamente solo nella tana silenziosa e così non c’era gusto a brontolare. Sedette accanto al fuoco e ben presto si appisolò.

Fu svegliato di soprassalto dal coniglio che rientrava nella tana gridando trionfante: “Scarpe e cappello!”
L’uccellino sbatté gli occhi. Non ricordava niente. “Dove mi trovo?”
Il coniglio scoppiò a ridere. “Oh bella! Siete a casa mia, caro amico. Mi sono ricordato di comprarvi quello che avete chiesto, vedete?”  Così dicendo, il coniglio bianco gli sventolò sotto il becco un paio di stivalucci rossi e un cappellino di foggia alquanto strana. “ A proposito, io sono Bianconiglio. Con chi ho l’onore di parlare?”

L’uccellino scrollò la testa, cercando di ricordare. “Scarpe e cappello…” mormorò.
“Scarpe e cappello?” rise ancora il coniglio. “Un nome singolare.”
Il coniglio era di ottimo umore e si diede da fare per allestire una buona cena per il suo ospite. Parlò ininterrottamente per tutto il tempo della cena e anche dopo, mentre rigovernavano e si sedevano accanto al fuoco. Così l’uccellino, che aveva perso la memoria, non si ricordò nemmeno una volta di lamentarsi.
Così trascorse i mesi seguenti, in compagnia del coniglio che era sempre allegro e chiacchierone, vivendo come un coniglio.
La memoria gli riaffiorava solo a tratti, cogliendolo come una strana nostalgia di un’immensità azzurra o di voci cinguettanti.
Ma fu solo in primavera, quando uscito per una commissione udì il cinguettare festoso dei suoi parenti, che ritrovò la sua identità. Mentre camminava indossando ancora i suoi indumenti un uccellino gli si parò davanti. “Ehi, ma non sei tu l’uccellino brontolone?”
“Io? Io no. Sono Scarpe e cappello.”
L’altro volatile iniziò a ridere così forte che finì a pancia all’aria sull’erba.  
“Ma no! Mi ricordo di te. Tu sei mio cugino di nono grado. Ne sono sicuro. Sei quello che si è perso durante la migrazione dello scorso autunno! E perché cammini, invece di volare?”
L’uccellino si guardò le zampe, perplesso. Poi piano piano gli tornò la memoria. Aprì le ali e fece un voletto. Com’era bello, tornare a volare! E quante cose aveva da raccontare alla sua famiglia!
Da quel giorno, l’uccellino fu sempre felice e cinguettoso come gli altri della sua razza. Non si lamentava più, perché adesso la sua vita gli sembrava stupenda. Rimase per sempre amico del coniglio, però, che continuò nel corso degli anni a chiamarlo Scarpe e cappello.

lunedì 8 dicembre 2014

Le decorazioni di Natale

Fiaba del fine settimana . Buona festa dell'Immacolata a tutti


Dedicata a Bastian. E a Briciola

Le decorazioni di Natale

C’era una volta un paese che si preparava al Natale. Tutti correvano affaccendati da una parte all’atra, ornando alberi, appendendo ghirlande e scambiandosi regali, pregustando le pietanze e i dolci che avrebbero accompagnato la festa.
Solo un giovane se ne stava un po’ in disparte, osservando più che partecipando a quell’andirivieni.
Si chiamava Bàstian.
Chissà se per il nome o per destino, era noto a tutti come Bastian Contrario.
Poco incline alle convenzioni, il giovane era guardato con diffidenza e, sotto sotto, considerato un po’ un guastafeste.
Se ne stava seduto fuori dall’uscio, accanto a un bell’abete completamente spoglio. A nessuno veniva in mente di interrogarlo su quella stranezza, visto che tutti erano abituati alle sue bislaccherie. 

Ma no, un momento.

Una bambina si distacca da un gruppo di monelli intenti a costruire un pupazzo di neve. Lo fissa direttamente negli occhi blu cupo.
«Perché il tuo albero non è decorato?»
Ah, i bambini sì che sanno come andare dritti al punto.
Bastian scuote appena la testa, facendo ondeggiare la lunga chioma che porta legata in una coda e i sei anellini d’argento che gli ornano l’orecchio.
«Perché è in attesa. È questo, il significato del Natale.»
La bambina decide che la faccenda merita qualche spiegazione in più e si avvicina di un passo.
Bastian accenna un sorriso e le fa cenno di aspettare. Entra in casa e ne esce con in mano un vassoio pieno di dolcetti.
Si siedono sui gradini della soglia.
«Spiega» chiede la bimba tra un boccone e l’altro.
Attirati dalla comparsa dei dolcetti, altri bambini si avvicinano e prendono posto sui gradini.
«Ogni anno» inizia a raccontare Bastian «mi preparo al Natale decidendo di accettare qualcosa di importante. Vi ricordate quel cagnolino che avevo trovato e accolto, diversi anni fa?»
I bambini fanno di sì con la testa. Hanno tutti la bocca piena di dolcetti e sanno che non devono parlare. Sono bene educati. Ma ricordano bene il vecchio cane malandato che accompagnava sempre Bastian ovunque andasse.
«Lui mi ha dato l’idea. Per festeggiare il Natale, bisogna accogliere. Aprire il cuore e accettare qualcosa che prima non ci stava. Da allora, ogni anno decido che cosa accoglierò quel Natale e per tutto l’anno mi sforzo di aprire il cuore a quella cosa.»
La bambina solleva lo sguardo: «Per esempio?» chiede prima di servirsi un altro dolcetto.
«Per esempio, un anno ho deciso di accettare il carattere del fornaio.»
«Sta antipatico a tutti, quello» interviene un bambino che intanto si è rialzato, impaziente di tornare a giocare.  
«Invece, parlando con lui, ho scoperto che ha anche molte belle qualità. Si comporta in modo burbero, ma in realtà ha un animo sensibile. Voi lo sapete che nel tempo libero dipinge? E dovreste vedere che belle cose fa. Ma per modestia, non le mostra quasi a nessuno.»

Il vassoio dei dolcetti si è svuotato rapidamente. Alcuni sono già tornati al pupazzo di neve.
La bambina indugia pensosa ancora un attimo, poi saluta e va a giocare con gli altri, mentre le mamme iniziano a richiamare i bambini a casa nell’aria fredda che ha preso a imbrunire.

Ma succede una cosa strana.
Tutti i bambini rifiutano la merenda, dicendo di averla già fatta da Bastian.
Interrogati dai genitori, finiscono per riportare le parole del ragazzo e per spiegare il perché di quell’albero senza decorazioni, fuori dalla sua porta.
La voce dilaga, passando da un racconto all’altro.

Il mattino dopo, sull’albero di Bastian c’è un cartoncino a forma di cuore, su cui una mano infantile ha scritto “Accetto le noiose visite alla zia Carlotta”
Con il passare dei giorni, l’albero di Bastian si veste di tanti cartoncini simili, di piccoli oggetti simbolici, persino di un piccolo dipinto in cui un occhio attento potrebbe riconoscere la mano del fornaio. “Accetto il vizio di mia moglie di conservare i vecchi giornali”, “Accetto l’invadenza del vicino”, “Accetto…”
Per il giorno di Natale, l’albero di Bastian è il più ricco, il più bello e il più amato di tutto il paese e le persone sorridono, un pizzico più felici.
Da allora, l’albero di Bastian è diventato una tradizione in quel paese e, se vuoi, puoi andare anche tu ad appendere qualcosa che rappresenti il tuo impegno di accettazione e d’amore per questo Natale. Hai già deciso di che cosa si tratterà?