sabato 11 ottobre 2014





Ecco la fiaba per il fine settimana. per l'immagine, devo ringraziare Il Castello di Avalon, che ha inondato il web di splendidi fiori. 



La Terra dei Fiori Blu
Stefania guardava fuori dalla finestra, in quel pomeriggio piovoso, e si annoiava.
I pomeriggi piovosi possono essere deprimenti, quando hai solo nove anni e sei a casa della nonna, senza niente di bello da fare.
La nonna si avvicinò e si mise a guardare fuori anche lei.
Sospirarono all’unisono.

- Questa giornata mi ricorda tanto quella in cui visitai la terra dei Fiori Blu – disse la nonna disegnando un cuoricino col dito sul vetro appannato, subito imitata da Stefania.

- Dov’è? – chiese la bimba aggiungendo un altro cuoricino.

- Oh. Nessuno lo sa. Ero una bambina come te, a quei tempi. Un  giorno, stavo vicino alla finestra a guardare la pioggia e la vidi. Una creatura bellissima, leggera, che sembrava fatta di gocce di pioggia. Stava seduta sul ramo di un albero che si vedeva benissimo dalla mia finestra.

- Un albero come quello? – volle sapere Stefania.

- Sì. Proprio come quello. La strana creatura mi fa un cenno, e io apro la finestra. Entrò in casa. La sua sola presenza illuminava la stanza. Aveva ali leggere e trasparenti. Mi strizza l’occhio, mi prende per mano e ci solleviamo in volo.

- E poi?
Adesso la bimba stava disegnando sul vetro il contorno del ramo che vedeva dalla finestra, completamente assorta nel racconto.

- Non avevo paura. In un batter d’occhio mi trovo in cima a una collina che scende dolcemente fino al mare e il terreno è completamente ricoperto di bellissimi fiori blu. 

- Che fiori erano?

- Non l’ho mai scoperto. Fiori come non ne esistono da nessuna parte. La creatura alata mi sorride, e io mi metto a correre e a raccogliere un bel mazzo di quei fiori. Lì non pioveva, sai, c’era un bel sole. Poi mi siedo accanto alla fata (perché mi sa proprio che era una fata) e lei in un istante intreccia due bellissime ghirlande che ci mettiamo sulla testa. Sembravamo proprio due regine. Poi mette i fiori avanzati in un’ampollina di vetro decorata in argento, fa un gesto con la mano e all’interno c’è un liquido blu, luminoso come una notte di luna piena.

Orami sul vetro della finestra, accanto ai cuoricini disegnati con le dita, erano comparsi i rami intricati di un albero, con qualche uccellino posato e fiori. Seduta sul ramo, una figura alata.
La nonna proseguì il suo racconto.

- La fata mi consegna l’ampolla, poi mi prende per mano e mi riporta in volo fino a casa. Io mi ritrovo esattamente dietro la finestra, e fuori piove. penso di aver sognato, ma ho ancora in mano la bottiglietta con il liquido blu. La apro con cautela e…

- Non, nonna. Non ti fermare. Dove stai andando?
La nonna le fece cenno di pazientare e andò a frugare in un cassetto.
- Ma dove l’avrò messa? Ah, eccola qui. Guarda tu stessa.
Con queste parole porse a Stefania un bottiglietta minuscola, contenente un poco di liquido blu che sembrava vibrare di luce.

- Coraggio. Prova. – la incoraggiò la nonna.
Stefania sollevò con cautela il coperchio e si accorse che c’era uno stelo con un cerchio in fondo, come quelli per le bolle di sapone. Se lo avvicinò alle labbra e provo a soffiare.
Ne uscì una bolla di sapone con riflessi blu, grande e perfetta. Ma all’interno della bolla si vedeva chiaramente una fata seduta su un ramo che salutava con la mano.
La bolla si sollevò in alto, in alto, mentre la bambina non la perdeva di vista, affascinata. Poi scoppiò.
Stefania subito ne soffiò un’altra. Dentro a questa vide una collina coperta di fiori blu e una bambina in abiti antiquati che li raccoglieva.

Così, una bolla dopo l’altra, la bimba vide svolgersi sotto ai suoi occhi la storia che la nonna le aveva appena  raccontato.
Quando arrivò all’ultima scena si avvide che il liquido blu era quasi finito e richiuse il coperchio in silenzio.
- Non ti preoccupare- le disse la nonna con una lieve carezza sulla guancia. – Sembra sempre finito, ma ce n’è sempre abbastanza per un’altra giornata di pioggia…

Ormai scendeva la sera e non si vedeva quasi più nulla. Ma, appena prima che calasse il buio, Sefania ebbe l’impressione di vedere una figura lieve, seduta sul ramo, che la salutava con la mano.
    

giovedì 2 ottobre 2014

Dov'era finita la cantafiabe?

Dov’era finita la cantafiabe?


Un po’ di silenzio, c’è stato.
Stavo riordinando le idee e facendo bilanci. Sono passati ormai sei mesi dal fatidico corso be.a.blogger con Chiara Maci e ricordo che ci aveva suggerito di porci obiettivi semestrali, da raggiungere sempre.
Allora bilanci e progetti. Sentire le compagne di corso, per sapere che cosa succede.
Curare le bozze della prima fiaba pubblicata in un’antologia (la trovate su www.giardinodellefate.wordpress.com) e riordinare le emozioni. È stato bello esserci, sapere che la fiaba - la mia fiaba - era stata scelta per la pubblicazione tra tante altre e fare parte di un progetto insieme a persone fantastiche. È stato bello l’impegno per portare un po’ di magia e di fantasia in un mondo che se le sta perdendo per strada. 
Sarete voi a giudicare se, almeno un po’, ci siamo riusciti. 
E poi, nuovi progetti.
Un blog nuovo di zecca, inaugurato proprio oggi, perché è il giorno dedicato agli angeli custodi e spero che porti fortuna.
E infine, sullo sfondo, il lavoro incessante del Tai Chi e la ricerca di equilibrio tra cuore, mente e istinto.
Sembra facile, detto così.
Invece succede spesso che la mente vuole andare da una parte, ma il cuore o l’istinto non ci stanno. O che si scambino le parti.
È un’arte strana, da seguire. Quando funziona, però, è davvero una magia. E allora può succedere di passeggiare in un parco, in un bel pomeriggio di ottobre e di incontrare una farfalla stupenda che gentilmente si posa su una foglia e si presta a fare da modella. muovendo appena le ali.
E all’improvviso sembra che tutto intorno sussurrino le fate, che la magia e l’armonia siano ovunque, solo che a volte ci dimentichiamo come si fa a vederle.



Ma oggi le ho viste, quindi è stato un buon giorno. A cui spero seguirà una buona notte, popolata di fiabe.
Buonanotte. Buone fiabe.

 


mercoledì 1 ottobre 2014

Le coccinelle con l'ombrello




Eccoci!

Vi spiegherò domani il perché del mio silenzio degli ultimi tempi ma, intanto, una fiaba.




Le coccinelle con l’ombrello


Era un’estate piovosa. Piovosa come non se ne ricordavano.
Uomini e animali si lamentavano di quel tempo impietoso che li costringeva a trascorrere lunghi giorni rintanati al chiuso a masticare noia.

- Ma smetterà mai di piovere? si chiedevano i ragni costruendo ragnatele inutili, i bambini guardando gli ombrelloni chiusi sulla spiaggia, gli uccellini nel nido che rimandavano ormai da troppo tempo il loro primo volo.  

Continuava a regnare il buonumore, invece, nella casetta di Madame Coccinella e dei suoi bambini. Lì, mentre una bella torta cuoceva nel forno, i coccinellini si divertivano con mille giochi diversi.
Un po’ giocavano al tiro a segno uno sulla schiena a puntini dell’altro, un po’ giocavano a mimetizzarsi (il che non era facile dato il colore rosso acceso), un po’ leggevano libri di fiabe. Ma i giorni passavano, la pioggia non cessava e i giochi consueti ormai iniziavano a venire un po’ a noia.

Prima che la situazione peggiorasse, Madame Coccinella decise di che era tempo di fare una gita.

- Una gita? Ma piove! provarono a ribattere i piccoli.
- Ebbene, che piova! rispose senza scomporsi la mamma, mentre un grande sorriso le si disegnava sul musetto furbo.
- Ho giusto avuto un’idea…

La vecchia macchina da cucire fu messa all’opera, mentre una bella foglia lucida di magnolia veniva faticosamente portate in casa.
– Su, svelti! sollecitava  Madame, sfregandosi le zampette.

In men che non si dica, ecco confezionati tanti splendidi ombrellini tutti verdi e lucenti.

- E adesso, in marcia!

I ragni smisero di tessere le loro tele per osservare la famigliola, tutta felice e baldanzosa, che se ne andava a spasso per il prato con quegli strani arnesi.   
Ragno Chinotto, che giustappunto stava appeso a riposarsi in un angolo della cucina, rimase tanto sorpreso che ruzzolò dritto nella farina. Ne uscì tutto bianco come una spuma di birra e da quel giorno diventò noto a tutti come Ragno Spuma.
Per fortuna, aveva un buon carattere e non se la prese.

Le coccinelle in fila indiana continuavano la loro marcia, su e giù per i fili d’erba del giardino, e poi con decisione sui rami più bassi della robinia che, vedendo quello spettacolo, iniziò a ridere a più non posso. Avete mai visto una robinia ridere? No? È proprio da non perdere. Le foglioline leggere e i fiori bianchi si scuotono tutti, tanto che alla fine, invece di una albero, sembra di vedere solo una cascata bianca e verde di leggera allegria.

E le coccinelle su su per i rami, quasi impettite con i loro ombrellini ben alti sulla testa.
- Basta, basta. Per carità! implorò infine la robinia.
- Vi regalo volentieri uno dei miei fiori per cappellino. Uno a ciascuno di voi. Basta che scendiate.

E così fu fatto. A ogni coccinella fu regalato un bel fiore, che messo sul capino faceva una gran bella figura. Ma di mollare gli ombrellini, le coccinelle non ne vollero proprio sapere. Saltarono giù dai rami della robinia, spalancando le alucce.

Solo che gli ombrellini le facevano ruotare in modo strano, tanto che giunsero a terra ridendo come matte e vorticando come i semi degli aceri.

Gli uccellini, per guardare quello spettacolo, si sporsero tanto dal nido che ruzzolarono giù anche loro e finalmente provarono l’ebbrezza del primo volo.
Anche i bambini, visto quell’insolito spettacolo, uscirono in giardino sotto la pioggia fine per giocare con le pozzanghere e fare torte di fango.

Fu un pomeriggio pieno di risate e di allegria, quello. Tanto che la pioggia, alla fine, si mise a ridere anche lei e lasciò spazio a un bellissimo arcobaleno.
I giorni di brutto tempo erano finiti, ma l’estate no e tanti altri bei giochi attendevano la famiglia di coccinelle, che però continuò a conservare gli ombrellini dietro alla porta, perché non si sa mai…




giovedì 11 settembre 2014

Il Lago dei Desideri

Il Lago dei Desideri

C’era una volta, tanto tempo fa, una fata insoddisfatta che si chiamava Selenia.
Soffriva d’insonnia, poverina, e di notte vagava irrequieta nei boschi, chiedendosi che cosa le mancasse per essere felice.
Il suo migliore amico era il draghetto Spiffero, che spesso l’accompagnava nei suoi vagabondaggi notturni.
«Ma insomma, che cosa vorresti?» le chiedeva spesso il draghetto, un po’ esasperato.
Ma Selenia non lo sapeva nemmeno lei e così, una notte, Spiffero la guidò fino a un bellissimo lago tranquillo, che scintillava sotto la luna.
«Che posto è mai questo?» chiese la fata impressionata dalla bellezza del luogo.
«Questo è il Lago dei Desideri. Qui si arriva solo nelle notti di luna piena e la notte non trascorre fino a quando non si è espresso almeno un desiderio. Rimarremo qui fino a quando non avrai capito che cosa ti manca per essere felice e poi non ne parleremo più.»
«Ma quanti desideri posso esprimere?»
«Dopo il primo, il tempo riprende a scorrere normalmente e bisogna allontanarsi prima dell’alba. Ma fino a quel momento puoi esprimere tutti i desideri che vuoi.»
La fata batté le mani contenta e si accomodò sulla riva, ragionando tra sé e sé.
Che cosa avrebbe potuto chiedere? Voleva pensarci proprio bene.
Interrogò il suo cuore.
Le sarebbe piaciuto proprio tanto chiedere la felicità per tutte le creature del mondo.
“Così,” pensava, “potrei imparare come essere felice osservando gli altri.”
In quel momento un coniglietto del colore della luna le passò saltellando vicino. Così si rese conto di essere già circondata da creature felici. E poi capì anche che, senza nessuna traccia d’infelicità, anche la felicità avrebbe perso sapore. “Non si può comprendere la luce, se non si conosce il buio,” ragionava la fata.
Avrebbe potuto chiedere la capacità di guarire all’istante tutte le malattie… ma poi che ne sarebbe stato di tutti coloro che si guadagnavano da vivere curando gli altri?
 Sospirò e si distese, continuando a interrogarsi.
Il tempo non scorreva, in quel luogo e la fata continuò a pensare e pensare fino a trasformarsi in un masso.
Spiffero le svolazzava intorno, alquanto preoccupato. Adesso Selenia era diventata una fata di pietra.
 «Oh, povero me!» borbottava tutto agitato il draghetto, cercando di riscuoterla.
Ma la fata di pietra rimaneva immobile e silenziosa.
Impossibile dire quanto tempo non trascorse, in quella situazione sospesa, ma alla fine spiffero non riuscì più a trattenersi e sbottò con voce forte e chiara: «Desidero che la fata si risvegli!»
Selenia emerse all’istante dalla sua forma di pietra, stiracchiandosi e sbadigliando.
«Ma da quanto tempo siamo qui?» chiese al suo amico drago, per la verità notando che le sembrava alquanto cresciuto.
Era impossibile dirlo, visto che per tutto il tempo in cui la fata era rimasta indecisa il tempo aveva smesso di scorrere in quel luogo.
Ma all’improvviso alla fata venne una gran nostalgia del suo bosco e del suo comodo lettuccio.
Il tempo aveva ripreso a scorrere e la fata espresse l’unico desiderio che in quel momento le sembrava possibile.
«Desidero che le cose vadano un po’ meglio per tutti. Non grandi cambiamenti, visto che non so ragionare in termini assoluti. Solo un po’ meglio di adesso. E la prossima volta, chiederò che vadano un po’ meglio ancora…»
Così, espresso finalmente il suo desiderio, Selenia tornò insieme a Spiffero nel suo bosco, e per la prima volta dopo tanto tempo si sentì un po’ più felice, pensando che alla prossima luna piena…




Vi chiedo perdono per la breve assenza. Anche i Cantafiabe ogni tanto devono tornare con i piedi per terra. 
Ma sono di nuovo qui, ad augurarvi buonanotte e buone fiabe...

lunedì 1 settembre 2014

Lo spray antimostri

Lo spray antimostri


A Sabina e Giulio la nuova casa piaceva moltissimo. C’era un bel giardino e, per la prima volta, una camera per ciascuno. Fino a quel momento avevano dovuto dividere la stessa stanza, in una baraonda di automobiline e bambole, libri e quaderni di scuola.
Adesso, finalmente, Sabina si guardava intorno sospirando nella sua cameretta nuova.
La mamma le aveva già dato il bacio della buonanotte e la luce era spenta, ma la luna piena entrava dalla finestra e le permetteva di vedere tutto.
C’era un odore strano, nella nuova casa.
Poi, un’ombra.
Sabina guardò velocemente verso la finestra. Qualcosa si era mosso, ne era sicura. Rimase ferma nel suo lettino ancora un po’.
Di nuovo quella strana ombra…
- Mammaaaaaa!
I passi della mamma, la porta che si apriva lasciando entrare la rassicurante luce del corridoio.
- Mamma, c’era un mostro!
- Non c’è nessun mostro, piccola. Stasera c’è un po’ di vento che fa muovere i rami degli alberi del giardino e tu non sei ancora abituata a questa casa nuova.
- Posso dormire con Giulio?
- Ma come? Eri così contenta di avere una camera tutta per te…
La mamma si avvicinò alla finestra, la aprì e guardò fuori inspirando l’aria fresca.
- Va tutto bene, cara. Stai serena.
Un altro bacio della buonanotte, una carezza, la porta nuovamente chiusa e il suono dei passi della mamma che si allontanavano.
Sabina rimase a letto impietrita. Non riusciva proprio a dormire, con l’idea di quel mostro che, ne era certa, si aggirava in giardino.
SBAM! La finestra si spalancò di colpo e Sabina, con il cuore che batteva all’impazzata, si precipitò nella camera di Giulio.  
Suo fratello era a letto, ma nemmeno lui dormiva.
- Che cosa c’è? chiese vedendola entrare.
- C’è un mostro in giardino.
- Sì. L’ho visto. Ma qui non si può avvicinare.
- Perché?
- Perché io ho uno spray antimostri!
Giulio tirò fuori una bomboletta dall’aria misteriosa.
- Come funziona? chiese la sorella accomodandosi sul letto.
- Basta spruzzarlo e li tiene lontani. Così.
Giulio schiacciò il pulsante, e una nuvoletta profumata fece pizzicare il naso di Sabina. Sapeva di budino alla vaniglia e di altre cose buone e dolci.
- Ma sei sicuro che funziona?  
- Sicurissimo.
La bimba prese in mano la bomboletta e la osservò attentamente. C’erano delle scritte, ma lei non sapeva ancora leggere.
- Di’, me lo presti?
- Solo questa sera. Domani, vai a prenderne uno tutto tuo.
- E dove?
- Io l’ho preso in un negozio che a volte scompare, vicino alla scuola. Certi giorni, passi e c’è solo un vecchio negozio vuoto e polveroso. Certi giorni, sembra tutto nuovo, è pieno di cose interessanti e vorresti comprare tutto…
Alla fine lo spray antimostri fu usato anche in camera di Sabina, che non ebbe più problemi nella nuova casa, anche se non le riuscì mai di trovare quel famoso negozio vicino alla scuola.
Almeno fino a quando non andò a scuola anche lei, ma questa è un’altra storia…

Perla e il lupo

Perla e il lupo

C’era una volta un regno in cui abitava una fanciulla di nome Perla.
La giovane viveva con il vecchio padre e ogni giorno andava per i boschi a raccogliere legna e bacche. La gente del villaggio le diceva sempre di non farlo, poiché era stato avvistato nei dintorni un grande lupo, ma Perla aveva un cuore coraggioso e faceva di necessità virtù.
Durante una di queste ricerche, affascinata da una pianta di bacche rosso rubino e con un profumo paradisiaco, non badò a dove metteva i piedi e precipitò in una grande buca.
Stranamente cadde su qualcosa di morbido. Si rialzò lesta e si guardò intorno.
La buca era molto profonda e la cosa su cui era caduta sembrava un ammasso di pelliccia.
Si avvicinò per toccarla e quella guaì piano. Il sole stava rapidamente calando, ma nella penombra la fanciulla si accorse che doveva essere un animale ferito.
Iniziò quindi ad accarezzarlo e a parlare dolcemente, cercando di rassicurarlo.
“Non temere, amico, mio. Adesso è buio, ma vedrai che domani ci troveranno e ci tireranno fuori da qui.”
A tastoni trovò la fiaschetta dell’acqua che portava sempre con sé, se ne versò un po’ sulla mano e offrì da bere al suo compagno di prigionia. Poi continuò a parlargli e accarezzargli la pelliccia fino a cadere addormentata. Potete immaginare il suo stupore quando, svegliatasi alle prime luci dell’alba, si accorse di avere trascorso tutta la notte appoggiata a un enorme lupo dal manto bianco!
Il lupo le parlò: ”Non avere paura. Tu sei stata gentile con me e io lo sarò con te. Adesso salimi sulla schiena, così potrai uscire.”
Così dicendo il lupo appoggiò le sue zampe alla parete della buca e Perla, arrampicandosi sulla sua schiena, riuscì infine a liberarsi.
“Adesso vado a cercare aiuto,” disse subito al lupo appena fu libera.
“Allora vuoi la mia morte,” rispose quello. “Se mi trovano mi uccidono. È da tempo che mi danno la caccia.”
Perla si guardò intorno, e vide il tronco di un albero caduto. Riuscì a farlo rotolare fino alla buca e con uno sforzo ne fece cadere un’estremità all’interno, mentre l’altra rimaneva appoggiata sul bordo. Servendosi di quella sorta di ponte improvvisato, ben presto anche il lupo fu libero.
Per ricompensa condusse Perla fino a una tana segreta e le donò un sacco pieno di perle e di pietre preziose dicendo: “Io non dimentico mai chi mi è stato amico. Accetta questo dono e sappi che, ogni volta che mi chiamerai, io verrò da te.”
La giovane lo ringraziò calorosamente e tornò a casa, felice di poter dire al padre che le loro preoccupazioni erano finite.
Con le pietre preziose si garantirono una vita agiata e la ragazza prese l’abitudine di adornarsi ogni giorno con le perle più belle.
Ma un giorno che la regina passava in carrozza vicino alla sua casa, vide la bella fanciulla indossare quelle perle magnifiche e si adombrò. “Com’è possibile che i miei sudditi più modesti abbiano ornamenti più belli e preziosi dei miei?” si chiese piena di invidia.
Così, appena tornata al castello, diede ordine di andare a catturare la ragazza, di spogliarla dei suoi ornamenti e di gettarla nelle segrete.
Le guardie stavano giusto per condurla via, quando Perla si ricordò di chiamare il lupo e quello arrivò in un batter d’occhio, caricandosela sul dorso e dileguandosi nei boschi.
La condusse in una tana spaziosa, dicendole che poteva rimanere fin che voleva, ma la ragazza rifiutò. Non si dava pace per aver abbandonato il suo vecchio padre e si pentiva di essersi attirata per vanità le ire della regina.
“Lascia fare a me,” le disse allora il lupo bianco.
Nel cuore della notte prese una bellissima collana di perle e si avvicinò al castello.
“Ho fatto uno strano sogno,” disse la regina al re al risveglio. “Ho sognato che qualcuno mi lasciava in dono qualcosa sul davanzale della finestra, dicendo che era per la persona più generosa e magnanima del regno.”
“Infatti qui c’è una collana di perle,” disse il re affacciandosi alla finestra.
Così andò avanti per un bel pezzo. Ogni notte il lupo bianco lasciava un oggetto prezioso per la regina, e ogni notte lei sognava che qualcuno la lodava per la sua generosità, per la sua mancanza d’invidia, per la sua capacità di perdonare, per la sua bellezza…
In capo a un mese, la regina si era davvero convinta di essere generosa e di buon cuore, al punto che decise di dare una grande ballo per offrire il suo perdono a tutti coloro che l’avevano offesa.
“Questa è la tua occasione,” disse quindi il lupo a Perla. Le procurò un abito magnifico e le fece indossare le perle più belle. La fanciulla si recò al ballo ed era così bella che il principe subito se ne innamorò e la chiese in sposa.
La regina non ebbe niente da ridire, anzi, ne fu contenta.
Il vecchio padre di Perla fu invitato a vivere a palazzo con loro e vissero per sempre in salute e in letizia.
 

   Una fiaba nata da un'immagine di Facebook. Buona lettura!

mercoledì 20 agosto 2014

La Terra dei Bardi



Le fiabe sono tornate!


La terra dei Bardi


Era una notte buia e tempestosa, quando il bardo entrò nella taverna del Calice e la Spada.
L’oste, vedendo il mantello, non poté trattenere un gemito. Era tradizione offrire ospitalità ai bardi erranti, solitamente sprovvisti di che pagare,  e grandi sventure attendevano chi non avesse rispettato le usanze.
Si apprestò quindi ad accogliere l’ospite.
“Benvenuto nella nostra umile taverna, eccellentissimo Bardo. Che cosa possiamo fare per voi?”
Il ragazzo sembrava molto giovane, ma aveva nello sguardo una saggezza antica che incuteva rispetto. “Un piatto di minestra e un posto accanto al fuoco per asciugarmi saranno più che sufficienti, mio buon oste.”
L’oste, si affrettò in cucina dopo aver fatto accomodare il bardo a un tavolo accanto al fuoco.
Il brusio della sala, che si era affievolito all’ingresso del nuovo arrivato, era ripreso più forte di prima. Tutti aspettavano di sentire le novità portate dal bardo errante.
“Venite da molto lontano?” chiese l’oste ponendogli davanti un piatto di minestra fumante.
“Ho da poco terminato la mia formazione nella Terra dei Bardi,” rispose il giovane affondando il cucchiaio nella minestra.
Un brusio deluso si sparse tra i presenti. Era solo un novellino, dopotutto.
“E dove si trova questa terra?” insisté l’oste, “Non ne ho mai sentito parlare...”
“Molto, molto lontano da qui,” rispose il ragazzo indicando vagamente con il cucchiaio verso ovest. “Oltre dieci catene montuose, intervallate da altrettante terre abitate.”
“Sembra molto distante,” intervenne a quel punto un avventore seduto lì vicino, mentre nella taverna scendeva un silenzio carico di attese. Solo un ubriaco continuava imperterrito a cantare a squarciagola in fondo alla sala, ma fu subito zittito con un potente cazzotto che lo fece stramazzare su una panca. 
Oh, di sicuro avevano insegnato bene, a quel giovane.
Ora che aveva l’attenzione di tutti i presenti, si attardò a soffiare sulla sua minestra, mentre gli altri osservavano impazienti ogni sua mossa.
Quando il pomo d’Adamo indicò che la minestra era stata ingollata a dovere, un uomo con una folta barba rossa lo incalzò: “Raccontate, dunque!”
“Fu il Druido del villaggio, a decretare il mio destino quando ero solo un fanciullo, vedendo che ero in grado di ripetere parola per parola ogni racconto udito. Il mio nome è Glyndwr. Fui mandato quindi a studiare nella Terra dei Bardi, molto distante da qui, dove per anni ho appreso tutti i racconti e tutte le tradizioni del nostro popolo. In quella terra si formano tutti i bardi che poi viaggiano nel mondo. Non c’è storia che non ci venga insegnata e veniamo istruiti anche nella musica e nel canto. Ma sono le storie antiche, quelle su cui i maestri insistono di più. Li si prendono cura di giovani provenienti da ogni parte e l’aria stessa è intessuta di storie e racconti. Io ho completato in fretta i miei studi, in dieci anni appena, e adesso viaggio per il mondo, come è tradizione per noi.”
“Ma le terre che avete attraversato?” chiese l’oste sedendosi di fronte al bardo. “Che cosa avete visto?”
Seppur così giovane e inesperto, ho già visto molte meraviglie. Ho attraversato monti ricoperti di ghiaccio, di cui uno completamente ammantato di ghiacciai rosa, si dice per una strana pianta che cresce solo lì. Ho conosciuto dame di una bellezza abbagliante e cavalieri in grado di affrontare dieci nemici con una mano sola, ma nessuno coraggioso come il Lord della Terra dei Bardi, che combatté contro ben quindici draghi, nei suoi tempi migliori. E nessuna dama che ho visto fin qui, per quanto bella, ha potuto eguagliare la grazia e la dolcezza di sua figlia  Gwenhwyfar. Oh, se solo poteste vederla! I suoi capelli sono d’oro vivo e i suoi occhi risplendono del verde delle praterie in primavera. Ogni suoi gesto è infuso di una grazia fatata e la sua voce cristallina sembra lo scorrere di un ruscello di montagna…”
Le parole del giovane bardo si spezzarono, a quel punto, mentre i suoi occhi azzurri si perdevano lontano.
“E adesso starete cercando un Lord che vi prenda con lui…” azzardò l’oste per spezzare quel silenzio.
Il giovane si riscosse e si guardò intorno scuotendo il capo. “No, signore. Non io… Mi hanno ordinato di camminare dritto davanti a me, ed è quello che farò fino a quando non riuscirò a tornare nella Terra dei Bardi, e dalla bella  Gwenhwyfar che mi ha rapito il cuore!”
“TI ha proprio stregato!” commentò l’oste con una risata e una poderosa pacca sulla spalla, versandogli un bel bicchiere di vino speziato, mentre gli altri avventori allungavano i bicchieri per averne anche loro.
Fu una lunga notte, quella. Colma di racconti e di vino. Ma all’alba, dopo essersi avvolto nel mantello, il giovane bardo si rimise in cammino, per percorre la lunga strada che ancora lo separava dalla Terra dei Bardi e dalla bella Gwenhwyfar.