venerdì 4 luglio 2014

Perché le fiabe


Perché le fiabe?

Insomma, siamo adulti. Perché dovremmo metterci a leggere o scrivere fiabe?
Ci sono molte versioni. Secondo gli psicologi di diverse scuole, leggere fiabe serve perché sono piene di istruzioni per la psiche, perché risvegliano l’energia eroica e ancora perché il “linguaggio in codice” delle fiabe permette di allentare le censure…
Tutto vero. Sembra sensato. Se tante fiabe sono sopravvissute nei secoli, continuando a essere tramandate, ci deve essere un valore che per generazioni si è voluto salvare. Echi di tempi lontani che sono diventati una sorta di distillato di sapienza di cui continuiamo ad avere bisogno.
Sicuramente anche i simboli delle fiabe sono importanti: il re, la regina, gli oggetti incantati, gli aiutanti magici, le forze del male… risuonano dentro di noi come tamburi, come segnali di “altro”.
A volte, scrivere di noi in questo modo ci aiuta a mettere ordine nel profondo di noi stessi, scoprendo aspirazioni e paure che magari ignoravamo prima di metterci a scrivere. E -sì- è vero che il mondo fiabesco spalanca le possibilità, facendoci giocare a rendere possibile l’impossibile.
Nel mondo incantato non ci sono limiti, tutto può accadere. E accade.
Insomma, i limiti consueti non esistono più. Possiamo volare, cambiare il destino, alterare il tempo, renderci invisibili, sconfiggere orchi e draghi, conquistare castelli e ricchezze e principesse o principi…
Se si vogliono approfondire questi temi, non c’è che l’imbarazzo della scelta. Vi ho già parlato di Tolkien e del suo “Albero e foglia”. Per saperne di più, si può leggere anche il lavoro di Clarissa Pinkola Estès “Donne che corrono coi lupi”, il testo classico “Il mondo incantato” di Bruno Bettelheim. Anche Maria Varano, con il suo “Guarire con le fiabe”, fornisce informazioni utilissime, mentre Jean Pascal Deilleuil porta avanti da anni un lavoro sull’impiego delle fiabe per risvegliare le proprie capacità e trasformare la propria vita.
Ma c’è ancora di più.
Le fiabe ci fanno il grande regalo di riportarci in qualche modo al centro di noi stessi.
Lo eravamo, da bambini, quando eravamo capaci di immergerci in un gioco fino a scordare la realtà, di disporre di una creatività che sembrava sconfinata e di vivere ogni attimo immersi nel presente. Eravamo tutti così.
C’è un racconto indiano che narra di un tempo in cui gli uomini erano come gli dei, potenti e senza limiti. Ma diventarono troppo orgogliosi e gli dei decisero di punirli nascondendo la divinità degli uomini in un luogo in cui non potessero più trovarla. Già, ma dove?
Qualcuno propose di nasconderla sulle montagne più alte, ma sicuramente gli uomini, con il tempo, sarebbero riusciti a scalarle. Un altro propose di nasconderla in fondo agli oceani, ma anche lì, prima o poi, gli uomini sarebbero arrivati. Allora, dopo un lungo dibattito, gli dei decisero di nascondere la divinità degli uomini dove mai l’avrebbero cercata: nelle loro pance, al centro di loro stessi.
Il dono delle fiabe è anche questo, riportarci in un luogo che non frequentiamo tanto, troppo presi a cercare sempre al di fuori quello di cui abbiamo bisogno o pensiamo di avere bisogno: dentro di noi. Magari è proprio lì che si nascondono la capacità di vivere il presente, il coraggio, la creatività e la consapevolezza che ci servono.
Magari la caverna piena di tesori di Aladino o di Alì Baba non è poi così lontana come potremmo pensare…


Buone fiabe, buonanotte.

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